La videoarte (e il cinema) invadono lo Schaulager. Colpa di Steve McQueen

Fino al 1° settembre, ma con una accelerazione durante Art Basel, Steve McQueen è in mostra allo Schaulager nei sobborghi di Basilea. Per una antologica che sfiora la retrospettiva. Da non perdere, mettendo in agenda mezza giornata di full immersion.

Checché ne dica Jean Clair ne La crisi dei musei, lo Schaulager è una fondazione aperta al pubblico. Certo, non sempre e non in tutte le sue parti, ma d’altro canto si tratta di una fondazione privata, e pure la pubblica Biblioteca Nazionale di Parigi ha aree dedicate esclusivamente ai ricercatori.
Quel che è altrettanto certo è l’impatto straniante nel quale ci si scontra visitando la grande antologica di Steve McQueen (Londra, 1969; vive a Londra e Amsterdam) che vi è allestita in questi mesi. Per chi conosce l’edificio progettato da Herzog & de Meuron, ecco, avrà delle soprese. Perché tutto il pianterreno è stato ripensato per creare una sequenza ragionata di camere per la visione, declinate nelle forme più varie. E così avviene per il piano sottostante e per l’auditorium: si va dalla visione in piedi di film proiettati su televisori di modeste dimensioni a set da vero e proprio cinema, passando per tutti i gradi intermedi della posizione spettatoriale. Insomma, un saggio curatoriale sulla fruizione della videoarte e del cinema.

Steve McQueen, Static, 2009 - still da video - Emanuel Hoffmann Foundation - courtesy the artist

Steve McQueen, Static, 2009 – still da video – Emanuel Hoffmann Foundation – courtesy the artist

A fare da pivot per tutto ciò sono i filmati, tanti, realizzati dall’artista britannico. Uniche immagini statiche – e pure in questi casi bisognerebbe parlarne più approfonditamente – sono le slide di Current (1999) e di Once upon a time (2002), la slide singola di 7th Nov. (2001), il lightbox di Mees, after evening dip, new year’s day, 2002 (2005) e le 56 fotografie di Barrage (1998). Per tacere del dolorosissimo Queen and Country (2007-2009), 160 facsimili di fogli filatelici conservati in un oak cabinet, ognuno dei quali ritrae ripetutamente il volto di un soldato britannico caduto in Iraq. C’è poi il dittico fotografico More (2001) e la sequenza di documenti dell’FBI scansionati e proiettati (End credits, 2012). Così si sarebbe già fatta una mostra assai ampia di McQueen. E invece si tratta “solo” di intermezzi, entr’acte che costellano la galassia dei video e dei film.
Si diceva: una retrospettiva, quasi. Perché, al di là del carattere completo dell’immancabile volume che accompagna la mostra, quelle proiettate sono gran parte delle opere da lui prodotte. A cominciare – si badi bene: non è l’ordine col quale è allestita la mostra – da Bear del 1993, coreografico e alleniano (nel senso di Woody: si veda la camera che ruota intorno ai commensali in Misterioso omicidio a Manhattan) confronto/scontro fra “orsi” ai dissacranti Five easy pieces che citano esplicitamente l’omonima pellicola di Bob Rafelson, per passare al poeticamente engagé Just above my head (1996) e alla spaventevole citazione di Buster Keaton in Deadpan (1997). E siamo appena al 1997, cioè due anni prima che McQueen si aggiudicasse il Turner Prize.

Steve McQueen, Exodus, 1992/97 - still da video - courtesy the artist & Marian Goodman Gallery, New York-Paris & Thomas Dane Gallery, London

Steve McQueen, Exodus, 1992/97 – still da video – courtesy the artist & Marian Goodman Gallery, New York-Paris & Thomas Dane Gallery, London

Nei due anni che lo separano da quel traguardo intermedio, ancora opere memorabili, e dopo altre ancora. Qualcuna meno riuscita (Giardini, col quale rappresenta la Gran Bretagna alla Biennale del 2009) ma in gran parte di altissimo profilo. Due esempi su tutti: Western Deep (2002) e Hunger (2008), rispettivamente dedicate alle condizioni di vita nella miniera d’oro di Tau Tona in Sudafrica e nella Maze Prison di Belfast, dove morì Bobby Sands.
E per chi fosse in questi giorni a Basilea per la fiera, orari prolungati per vedere la mostra, oltre a una serata (su invito) che apre le porte allo Schaulager fino alla mezzanotte di giovedì 13 giugno.

Marco Enrico Giacomelli

Münchenstein // fino al 1° settembre 2013
Steve McQueen
SCHAULAGER
Ruchfeldstrasse 19
+41 (0)61 3353232
www.schaulager.org

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

Scopri di più