La Cina invade Venezia
Tra gli eventi collaterali della Biennale di Venezia, quest’anno particolarmente numerosi, abbondano gli interventi di artisti cinesi. Qualità mediamente non eccelsa, ma il dato è di quelli da rilevare.
C’è anche Ai Weiwei fra gli artisti in mostra agli eventi collaterali della Biennale di Venezia. Certo, non invitato negli spazi ufficiali della Repubblica Popolare Cinese all’Arsenale, ma con un doppio appuntamento, nel padiglione tedesco e da Zuecca Project Space con Disposition. Alla Giudecca presenta Straight, un progetto realizzato recuperando lunghe aste di armatura delle scuole crollate durante il terremoto di Sichuan del 2008, mentre la chiesa di Sant’Antonin accoglie un nuovo lavoro sulla relazione tra Venezia e la Cina.
Quella cinese è in ogni caso la nazionalità maggiormente rappresentata fra gli interventi sparsi in città. In alcuni casi si tratta di riflessioni sulla storia dell’arte, come per Voice of the Unseen. Chinese independent art 1979-today, che individua nel 1979 e nel muro della democrazia di Xidan a Pechino il punto di partenza per una ricognizione della storia dell’arte contemporanea cinese, attraverso il lavoro di oltre cento artisti e un’imponente biblioteca. Anche Passage to History: 20 Years of La Biennale di Venezia and Chinese Contemporary Art si propone di riassumere l’evoluzione dei rapporti tra la Repubblica Popolare e l’Occidente a partire dalla prima partecipazione di artisti cinesi contemporanei alla Biennale veneziana. Questo tema si avvicina a Culture.Mind.Becoming che, nella due sedi di Palazzo Mora e Palazzo Marcello, concentra l’attenzione sulla relazione tra globalizzazione e tradizione. Sono una quarantina gli artisti selezionati – suddivisi in tre sezioni, curate in modo indipendente da Karlyn De Jongh, Huang Du e Yang Shinyi, Danilo Eccher (che cura una personale di Fang Lijun) – per rappresentare la contaminazione tra estetica orientale e occidentale.
Il solo Mi Qiu occupa Palazzo Bacchini delle Palme con United Cultural Nations, l’architetto di Macao Carlos Marreiros riflette sulla trasformazione delle informazioni in conoscenza in PATO.MEN, mentre per Simon Ma l’esplorazione di una foresta pluviale ha costituito lo spunto per una riscoperta del legame con la natura e per un duetto con le fotografie di Julian Lennon in Ink Brush Heart, curata da Achille Bonito Oliva nella Chiesa di San Stae.
Due sedi per Mind Beating, che considera il corpo come metafora della società trasferendo l’idea di frequenza cardiaca alla mente e mostrando come gli artisti invitati abbiano analizzato momenti in cui il battito accelera, a partire dalla situazione attuale della Cina. Se si crede che le affinità tra Venezia e la Cina siano poche, ecco il Canal Grande, al Museo Diocesano, omonimia che unisce la via d’acqua veneziana e il condotto scavato per collegare Beijing e Hangzhou, realizzando il fiume artificiale più lungo al mondo, raccontato già da Marco Polo.
“Arrivano i cinesi, arrivano a milioni”, cantava Bruno Lauzi nel 1969. Anche a Venezia, nel 2013.
Marta Cereda
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12
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