Gli oggetti di design realizzati con i materiali di recupero non sono mai stati così di moda come in questi ultimi anni. Tutti quei prodotti che partono dal riutilizzo di scarti industriali o dal recupero di oggetti destinati alla discarica per arrivare a un oggetto finito rientrano a pieno titolo all’interno del filone eco e green design. Ecco allora che i flaconi in plastica dei detersivi si trasformano in vasi di fiori o virtuosi lampadari, i tappi in sughero abbandonano il modellismo per diventare comode poltrone, i bancali in legno e le cassette della frutta sono convertiti in ogni possibile complemento d’arredo, dal letto alla libreria.
Questo encomiabile filone, ampiamente apprezzato e capillarmente diffuso, anche tra i non addetti ai lavori, ha tuttavia un limite, costituito dal percorso progettuale, che parte da un rifiuto convertito in un prodotto, dando per scontato che lo scarto in questione continui a esistere. Ma il progettista oggi non è in grado di fare un passo in più e di avere una visione lungimirante che gli permetta di imprimere una svolta etica alla progettazione?
Dopo tutta la sensibilizzazione sull’argomento, perorata da artisti e progettisti, alcuni concetti sono dati per scontati, come l’utilizzo di materiali riciclabili ed ecosostenibili. Oltre alla scelta della materia prima, però, un buon designer deve affidarsi alla progettazione vera e propria come arma rivoluzionaria e ideare un oggetto che non produca scarto alcuno.
Stiamo forse esagerando? Niente affatto, e alcuni esempi illustri dimostrano che questa strada può e deve essere percorsa. Si pensi ai 16 Animali di Enzo Mari, prodotti nel 1957. Il gioco ricava tutte le sue componenti da un unico pezzo di legno, senza produrre scarto. Probabilmente Mari avrà iniziato disegnando le sagome degli animali separatamente e si sarà accorto che, intagliando le singole figure da una lastra piana, avrebbe ottenuto più pezzi da buttare rispetto a pezzi utili; da lì l’intuizione di incastrare le sagome tra di loro. In questo caso, un’accortezza progettuale e il rispetto per la materia hanno portato il designer alla soluzione creativa di un gioco tuttora attuale. Mari non è stato l’unico che ha progettato sfruttando al 100% la materia prima di partenza. Angelo Mangiarotti nel 1987 dimostrò con un’opera scultorea, Cono cielo, che da un unico blocco in marmo di 250x100x350 centimetri si poteva ricavare un obelisco alto 11 metri.
Chi oggi è riuscito a cogliere più di altri l’insegnamento dei maestri e a rendere proprio questo modus operandi, cercando anche di diffonderlo, è il designer Paolo Ulian. Progettista da sempre molto attento all’aspetto etico dei propri prodotti, lavorando a stretto contatto con gli artigiani e scegliendo con accortezza le materie prime, si è reso conto quasi subito del grande quantitativo di scarto prodotto da ogni lavorazione. Ulian ha iniziato a rispettare alcuni piccoli accorgimenti progettuali fin dall’ideazione degli oggetti: per la ciotola in terracotta Una seconda vita, ad esempio, la foratura del decoro è allo stesso tempo una linea guida per un’eventuale rottura, i cui i cocci possono essere riutilizzati come piccole ciotole. Ha poi proseguito con oggetti pensati proprio in quest’ottica “no waste”, come il vaso in marmo Vaso vago, intagliato da un’unica lastra in marmo, fino ad arrivare alla serie di tavoli Autarchico. “Sono oggetti autarchici quelli che bastano a se stessi, oggetti in cui la parte negativa e la parte positiva coincidono perché non esiste più un pezzo buono e un pezzo da buttare, ma ci sono solo pezzi utili”: così Ulian spiega i tavoli in marmo in cui ha ricavato le gambe dalle incisioni dei decori del piano.
Molti di questi oggetti, che non producono alcun rifiuto, sono stati realizzati con macchine di taglio a controllo numerico o waterjet, utilizzate da tutti i Fab Lab e punta di diamante delle autoproduzioni 2.0. Lo scorso Salone del Mobile ha decretato il successo e la consacrazione di questa filosofia di stampa, che consente ai progettisti di disegnare un oggetto a casa propria, inviare il file di taglio e vedere l’oggetto realizzato, dopo due ore, dall’altra parte del mondo. Ma in nessuna di queste esposizioni è stato messo in rilievo il problema degli scarti che queste lavorazioni possono generare e l’importanza di una progettazione oculata per evitarlo. Il mondo dell’eco e green design può compiere a questo punto un passo da gigante, invertendo il canonico percorso progettuale e pensando anche a ciò che non deve generare.
Valia Barriello
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12
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