Magma: la Toscana laboriosa in un nuovo museo
Inaugura ufficialmente domani 29 giugno il MAGMA - Museo delle Arti in Ghisa di Follonica. Un monumento di archeologia industriale che racconta, con la sua presenza, una storia. Quella della siderurgia italiana e della provincia toscana dal passato operaio e laborioso. Dell’edificio ne abbiamo parlato con i progettisti Marco Del Francia e Barbara Catalani, specializzati nel campo degli allestimenti museali e del restauro.
Il Forno San Ferdinando è la costruzione più antica di Follonica, una delle prime fonderie Ilva per la produzione di ghisa. I restauri condotti dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Siena e Grosseto hanno restituito gli apparati murari originari. In questo contesto il progetto del Magma, vincitore del concorso di idee, ha impostato il percorso espositivo su tre livelli, un racconto multimediale che si sovrappone, creando uno strato immateriale ed evanescente sulle pareti del Forno. Ne abbiamo discusso con i progettisti, Marco Del Francia e Barbara Catalani.
Un nuovo spazio espositivo simbolo di rinascita per la città di Follonica. Quali sono le caratteristiche del progetto?
Le caratteristiche sono quelle di un museo che, rispettando l’identità dei luoghi e il lavoro scientifico sui contenuti, sia capace di comunicare una poetica riconoscibile, lasciando un segno forte e indelebile, grazie anche alla compenetrazione tra sistemi espositivi classici e supporti multimediali, che sono stati fondamentali nel progetto.
Abbiamo sempre pensato al MAGMA come a un luogo in cui è possibile stare e anche ritornare: un punto di riferimento in cui riconoscersi, un valore significativo dell’abitare come del visitare un territorio. Nell’edificio, così come nello stabilimento, e a catena con la città e il territorio, non solo locale – per le relazioni che con esse si innestavano -, c’era un tessuto di storie da raccontare: in particolare la storia tecnologica, artistica e umana dello stabilimento. Per cui abbiamo pensato di intessere un discorso tra il passato e il futuro, tra un museo che vuole raccontare una storia e una nuova comunità che – speriamo – possa ritrovare qui le proprie radici.
Il Museo Magma nascerà in una delle prime fonderie Ilva nate a inizio Ottocento a Follonica, poi abbandonata dal 1960. Che tipo di rapporto avete deciso di instaurare con la preesistenza?
L’edificio che ospita il Magma è una struttura molto complessa dal punto di vista architettonico e di straordinario valore in quanto testimonianza di archeologia industriale. La prima sfida è stata cercare di mantenere intatto il senso del restauro con il significato primigenio dello spazio, che era di tutt’altra natura.
Lo spazio centrale, ad esempio, dove in origine era ubicata la struttura in muratura – andata poi distrutta – del forno fusorio, è un volume a tutta altezza denso di fascino. Era per noi fondamentale ricreare quell’elemento non più esistente, senza però alterare quel vuoto così affascinante che il tempo e i restauri ci avevano consegnato. Così abbiamo deciso di rievocare quella presenza realizzando una installazione artistica leggera e diafana, formata da una miriade di lamelle appese a sottili cavi di acciaio e che in astratto vanno a disegnare la dimensione dell’interno del forno fusorio. Il rapporto con il preesistente quindi è stato di grande rispetto, ma allo stesso tempo non ci siamo sottratti nell’imprimere la nostra progettualità contemporanea, in un segno quasi di continuità.
Rispetto per la preesistenza e tecnologie multimediali sono quindi gli ingredienti base di questo progetto. Da dove è venuta l’idea?
L’idea è venuta quando abbiamo cominciato ad avere chiaro il quadro di complessità dei contenuti da raccontare. Da una parte c’era la collezione, opere di notevole pregio artistico destinate a un raffinato arredo urbano e domestico, dall’altro un territorio da esplorare con le sue risorse, i suoi contrasti, i suoi uomini. Si doveva passare dall’esposizione di pezzi artistici agli approfondimenti scientifici legati alle risorse e alle tecnologie, quindi allo sviluppo antropologico e urbanistico di una città, che nasce nel mezzo di una vasta palude. Tutto questo all’interno di un edificio che doveva lasciar scoperta pure la sua pelle, perché anch’esso parte della storia. E c’era la necessità di tenere sempre alta l’attenzione del visitatore, all’interno di un percorso di quasi 1.000 mq di superficie espositiva.
Abbiamo trovato la soluzione pensando a un museo che permettesse una narrazione a più livelli e a più voci, trovando contaminazioni continue tra la componente formativa-didattica e quella evocativa-emozionale. Un luogo dove dialogare con il passato attraverso un linguaggio contemporaneo, fatto di confronto e partecipazione attiva. Con questi principi abbiamo sviluppato un racconto aperto e discontinuo, come lo sono i linguaggi e la cultura della nostra epoca.
Il museo, realizzato con Fondi Europei grazie a un Piano di sviluppo urbano sostenibile della Regione Toscana, rappresenta il primo tassello del recupero di una parte significativa del comprensorio Ilva, promosso dalla Città di Follonica. Tutto è partito da un concorso di idee che, a differenza di molti altri proposti in Italia e mai concretizzati, ha trovato la sua realizzazione. Come è andato l’intero processo?
Dopo aver vinto il concorso di idee nel 2007, assieme a Fabio Ristori, l’amministrazione comunale ci ha dato fiducia, affidandoci l’incarico per le varie fasi di progettazione e assicurandoci il controllo dell’intero progetto anche con l’affidamento della direzione lavori. Le regole prevedono, anche se non vengono quasi mai applicate, che l’ente pubblico possa dar seguito all’incarico al professionista vincitore del concorso. Se avessimo dovuto partecipare alla eventuale gara per la progettazione non avremmo mai avuto speranza, visto che i bandi prevedono per i partecipanti fatturati che non abbiamo mai racimolato da quando lo studio è aperto.
Altra cosa importante è stato basare la gara d’appalto per i lavori con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che non tiene conto solo del ribasso d’asta ma della qualità e dei curricula delle imprese partecipanti. Il capogruppo della RTI vincitrice, Asteria Multimedia Srl (con IMEL snc e Arazzi snc come partner), non a caso è un’azienda che ha realizzato tra gli altri gli allestimenti del Mart di Rovereto, del Museo dell’automobile di Torino e del Muse progettato da Renzo Piano a Trento.
Zaira Magliozzi
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