Pompei? La gestiscano i privati! Così Maurizio Gasparri, che anima il dibattito sullo stato di degrado dell’area archeologica. Mentre a Londra si fregano le mani: la mostra sugli ultimi giorni della città è la terza più visitata della storia del British Museum
C’è chi si ricorda di lui per aver commentato, alla notizia dell’elezione di Obama, che ora “al Qaida forse è più contenta”. E c’è chi ancora lo sbeffeggia, a distanza di anni, per aver confuso Gianni Cervetti con il telecronista RAI Gianni Cerqueti. Per molti passerà alla storia per aver dato il proprio nome alla […]
C’è chi si ricorda di lui per aver commentato, alla notizia dell’elezione di Obama, che ora “al Qaida forse è più contenta”. E c’è chi ancora lo sbeffeggia, a distanza di anni, per aver confuso Gianni Cervetti con il telecronista RAI Gianni Cerqueti. Per molti passerà alla storia per aver dato il proprio nome alla legge di riordino del sistema radiotelevisivo che ha salvato Retequattro (ma anche RaiTre, altrimenti condannata a restare senza introiti pubblicitari); per altri resterà, a inquadrarne la figura, l’immagine che di lui ha tratteggiato Daniele Luttazzi, per il quale “sembra un cameriere a cui non hanno dato la mancia”. Non è granché fortunato nelle proprie uscite il senatore PDL Maurizio Gasparri, che sceglie per tentare il riscatto il salotto mattutino di Omnibus, talk di attualità che anima le mattinate su La7. Si intona il consueto ritornello sul disastro della spesa pubblica, citando come esempio di massimo sfacelo l’incapacità di sostenere l’area archeologica di Pompei, recente vittima delle minacce UNESCO: se non ci si mette in riga in termini di gestione, tutela e salvaguardia c’è il declassamento nel ranking internazionale e la perdita dello status di Patrimonio dell’Umanità. Fa male rileggere il rapporto Eurostat che dice come, dal 2007 ad oggi, l’Italia non ha speso due miliardi di euro messi a disposizione dall’Unione Europea per progetti di carattere culturale, smarrendo tra inefficienza e inefficacia una miriade di opportunità; ma sul caso specifico Gasparri una ricetta ce l’ha. E chiede un “bando internazionale per la gestione del bene”: fatta salva la proprietà pubblica dell’area siano i privati, a mezzo gara, a concorrere per la sua gestione, facendosi carico di coprire – con i ricavi ottenuti dalla bigliettazione e da tutti i servizi accessori – anche i costi per restauri e manutenzione. “La gestione statalista non ha prodotto risultati” incalza il nostro. È ora di cambiare.
Ora scatterà il tiro al piccione, con Gasparri che aggiungerà al proprio cursus honorum anche il patentino di “colui che voleva vendere Pompei”. La proposta in realtà è ben lontana dall’immagine di Totò che rifila la Fontana di Trevi ai turisti: trattasi probabilmente dell’unica possibilità perché si metta finalmente in valore, in modo vincente, il patrimonio storico artistico italiano. Un bando ben fatto – normato, regolato e a prova di bomba, con penali per le inadempienze – può portare all’efficienza dei servizi; sgravando lo Stato da compiti che ha dimostrato di non saper assolvere.
In attesa che si passi all’azione, intanto, Pompei perde in termini di attrazione. Saranno le serrate da parte di un personale sottodimensionato e quindi stressato, saranno i crolli o il fatto che su oltre settanta domus puoi visitarne solo una manciata: ma i turisti cominciano a disertare. Parlano chiaro i dati delle rilevazioni MiBAC, che per gli scavi segnano un calo di oltre 200mila presenze dal 2007 ad oggi, poco meno di ventimila delle quali registrate solo negli ultimi dodici mesi. E non certo per mancanza di appeal da parte del sito archeologico: ne sanno qualcosa a Londra, dove secondo i numeri raccolti da Il Sole 24Ore la mostra sugli anni d’oro della città vesuviana macina record su record. Sfiora i 300mila visitatori nei primi tre mesi di apertura quello che, se il trend non diminuisce, arriverà ad essere il terzo evento più visitato nella storia del British Museum: dopo l’esposizione degli ori di Tutankhamon e quella dei guerrieri di terracotta dell’imperatore Qin. Trecentomila persone che pagano il biglietto, comprano gadget e cartoline, mangiano e bevono nella caffetteria del museo. Estasiati dalla Pompei d’esportazione. Mentre quella vera cade a pezzi.
– Francesco Sala
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