Padiglione Italia e crowdfunding
Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Bell’idea (e soprattutto ben fatta) quella del crowdfunding per il Padiglione Italia della Biennale di Venezia. Una manifestazione pubblica importante come questa, che organizza in maniera così appropriata una campagna di raccolta fondi, è l’espressione di una maturità che da tanto tempo si aspettava.
Maturità non solo nel gestire bene un’azione del genere, ma soprattutto nell’aver chiaro quali sono i percorsi da seguire: la cultura non può e non deve vivere di sole risorse pubbliche. Per essere viva e condivisa, deve raccogliere l’interesse della più ampia cittadinanza, anche quello economico.
Super-azzeccata la scelta dell’entry level a cinque euro. L’ho letta come “dimmi che ci sei, che sei dei nostri, che ci credi”. È questa la strada del fundraising: innanzitutto fare la conta delle persone (o imprese), cercandone il più ampio numero possibile. È la numerosità, il largo consenso, la milestone del fundraising. Anche solo un cheap dimostra che “io ci sono”. Da lì poi si può immaginare di avere di più e fare di più, anche di pensare in grande: progetti importanti o autosostentamento.
La sostenibilità di un progetto culturale parte da quanto questo è condiviso. Pagare il biglietto anche se non ci vado (alcuni, se non molti dei microdonatori, se non anche di quelli più generosi o abbienti, non andranno alla mostra o magari non riscatteranno fisicamente i benefit promessi come la presenza all’inaugurazione o la cena con l’artista). La cultura come partecipazione ci insegna che non trattasi di solidarietà (la leva sulla quale si insiste molto, ma che nella cultura non riesce a sfondare, diversamente dal sociale, sanitario o ambientale).
Nella cultura devo sentirmi parte di un tutto, identificarmi, non esserci. La Biennale col Padiglione Italia è riuscita a fare un bel sito, a utilizzare una comunicazione efficace. A voler trovare il pelo nell’uovo, avrei messo fin da subito in maniera puntuale a cosa sono destinati i soldi: l’effetto spiazzamento (crowding out) è noto e spiegato in letteratura.
Fabio Severino
vicepresidente dell’associazione economia della cultura
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #13/14
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