Nicola Costantino, Rapsodia Inconclusa. Un ritratto di Evita Peròn
Protagonista del Padiglione Argentina alla 55° Biennale di Venezia è la mitica Eva Peròn. Nicola Costantino affronta questo iconico personaggio femminile, con un progetto dalla forte connotazione teatrale, in cui si fondono video, scultura e installazione
“Penso al lavoro dalla performance tra il palcoscenico e il cinema. Il lavoro è la mia interpretazione del personaggio. Passo del tempo a compenetrarmi con il soggetto, costruendo il set e i costumi, in particolare mi interessa l’idea di comunicare con le immagini e i gesti, ma mai attraverso la parola.
Mi è servito l’aspetto storico in relazione al mito, quello emotivo in relazione alla mia infanzia, ai miei ricordi di queste immagini e alle storie sentite mille volte. Ma quello che mi interessava più era che l’arte contemporanea non si è mai occupata, nella sua specificità linguistica, di Eva Peròn. O almeno, non sollevando una questione che le è particolarmente propria: quella della rappresentazione. Uno dei temi principali per l’arte contemporanea e anche un grosso problema per la figura di Eva, che è stata sempre distorta da semplificazioni, perché di lei si occuparono la politica e lo spettacolo, ma l’arte mai”.
Nicola Costantino (Rosario, 1964) racconta il lavoro concepito per il Padiglione Argentina della 55° Biennale di Venezia, un progetto che è una sfida, da più punti di vista. Parlare di un’icona assoluta, con la sua aura, le storie e le leggende costruite intorno, i cliché, le esasperazioni, le visioni ideologiche, i giudizi e le mezze verità. Essere Eva Peròn, pasionaria, sognatrice e combattente, è essere nel mito. E per questo offrirsi a nuove narrazioni, col rischio in agguato della banalizzazione, del vincolo, della ripetizione, del vizio di forma e di contenuto.
Costantino ci prova e cavalca la sfida: raccontare Eva, vestendo i suoi panni, e farlo attraverso l’arte contempoanea, quello che nessuno aveva tentato mai. Il problema della rappresentazione è prioritario: cosa restituire di questa straordinaria figura? Dove fissare il confine tra letteratura e realtà? Come concepire un ritratto, che sia anche un’interpretazione? Come lasciare che la vita si ricomponga sulla scena, essendo la maschera una forma incisiva del volto? Come spogliarsi della lettura politica e intraprendere quella umana, attraversando il labirinto dell’identità?
Rapsodia Inconclusa (Unfinished Rapsody) si compone di quattro opere, con cui l’artista analizza e decostruisce una figura complessa: due video-installazioni (Eva los sueños e Eva el espejo – Eva i sogni e Eva lo specchio), un oggetto-macchina e una scultura concettuale. Il Padiglione si tarsforma così nella casa di Evita Duerte, il luogo intimo in cui le si muoveva, con la sua solitudine, la sua sofferenza, i suoi trionfi, la sua bellezza e la sua fermezza, il senso della giustizia sociale e le lotte per i diritti di donne, anziani, operai, la sua luce e la timidezza, il carattere e la sensibilità, l’amore per il teatro e il destino nella politica, al fianco del Presidente Juan Domingo Perón.
La Eva di Costantino si muove tra il soggiorno, la sala da pranzo, lo studio e la camera da letto, ed è di nuovo la Eva attrice con gli abiti a fiori, la Eva chic con il tailleur e lo chignon, la Eva in lotta con il cancro, la Eva allo specchio o curva sulla sua scrivania, la Eva regina del popolo e la Eva radiosa, vestita Dior, per il galà al Teatro Colón.
Accanto allo scorrere fluido delle immagini video, le due sculture sono ancoraggi solidi al racconto, dispositivi poetici connessi alla parabola esistenziale dell’eroina argentina: Eva la fuerza è un abito in ferro cromato che si ispira al ricordo dell’ultima apparizione pubblica di Eva, quando il marito venne eletto per la seconda volta e – si narra – una struttura occultata dalla pelliccia sorreggeva il debole corpo malato; Eva la lluvia, simbolicamente posto a chiusura del percorso, è invece un tavolo in acciaio inox su cui una montagna di stille di ghiaccio si scioglie con lentezza. Acqua, come le lacrime che il popolo pianse con la morte dell’amata quanto discussa Eva Peròn. E come la pioggia che per quattordici giorni cadde, senza sosta, dopo la tragedia: il lungo pianto del cielo d’Argentina che omaggiò i 33 anni, miseramente spezzati, di colei che volle essere ricordata così: “Ho solo un’ambizione personale. Che il giorno in cui si scriverà il capitolo meraviglioso della storia di Perón, di me si dica questo: c’era, al fianco di Perón, una donna che si era dedicata a trasmettergli le speranze del popolo. Di questa donna si sa soltanto che il popolo la chiamava con amore: Evita“.
Helga Marsala
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