Luigi Bartolini, vagabondo da non dimenticare
Quando gli rubarono la bicicletta, ne fece un caso di portata universale e pubblicò un romanzo, “Ladri di biciclette”, diventato capolavoro del cinema neorealista, ma che pochi ricordano scritto da lui. In effetti, anche da Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, Bartolini si sentì defraudato, come della bicicletta. Un bene primario per lui, poeta vagabondo.
Molteplicità e riproducibilità sono caratteristiche che anche Italo Calvino riconosce come segni di contemporaneità e sono i tratti distintivi dell’incisione. Dopo un periodo di grande importanza come linguaggio artistico, negli ultimi tre decenni questa tecnica sembra aver esaurito la sua funzione espressiva. La responsabilità, in parte dovuta alla degenerazione del mercato che in questo settore ha creato confusione, si deve contemporaneamente cercare nel non aver mai voluto abbandonare lo stretto legame con la tradizione a favore di una ricerca più sperimentale. Si è spesso continuato a incidere nel solco della tradizione, quando questo linguaggio non era più adeguato alla necessità di espressione contemporanea, senza che la sperimentazione e la formazione, che pure erano state propulsive per il successo della poetica dell’incisione, si trasferissero nell’approfondimento delle possibilità espressive delle nuove tecnologie disponibili per la grafica, che tanta importanza hanno oggi nel sistema dell’arte e che, nelle pur profonde differenze, hanno in comune con l’incisione appunto quelle caratteristiche di molteplicità e riproducibilità.
Sarebbe interessante e utile poter approfondire questo argomento, magari proprio in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di un artista che dell’incisione ha fatto un’arte d’invenzione: Luigi Bartolini (Cupra Montana, 1892 – Roma, 1963), secondo l’intellettuale Carlo Bo “il più felice degli inventori, uno degli uomini più toccati dalla grazia poetica”, ma a cui ancora manca la compilazione di un catalogo generale.
Bo definisce Ladri di biciclette, romanzo scritto dall’artista, come un romanzo di invenzione e racconto, le due caratteristiche che forse più si addicono anche alle opere calcografiche del maestro.
Ricordato in questa occasione solo dalla sua città natale, la quale nel 1989 ha istituito un Centro documentazione con lo scopo di raccogliere quanto l’artista ha prodotto, e documentare quanto su di lui viene scritto, Luigi Bartolini è considerato uno dei due più grandi incisori italiani insieme a Giorgio Morandi. L’artista, incisore pittore scrittore, ma soprattutto poeta in tutto ciò che faceva, insieme al collega bolognese, fu il primo e per molto tempo il solo a dedicarsi all’acquaforte trattandola come un linguaggio moderno del tutto autonomo, rispetto anche alla stessa pittura. Nel 1932 gli venne assegnato il premio ex equo con Morandi alla Mostra dell’Incisione Italiana a Firenze, così come nel 1950 a Lugano alla Mostra Internazionale dell’Incisione, e negli anni Sessanta le loro opere grafiche ricevevano le stesse valutazioni.
Ma mentre Morandi, nelle incisioni, riporta lo stesso repertorio iconografico della sua produzione pittorica, per Luigi Bartolini le acqueforti erano appunti che riguardavano la parte più segreta di sé, un fluire libero di graffi che si inseguono, annotazioni, in una sorta di diario segreto, della vita che lo circondava. Raramente disegnava, ma incideva dal vero, ed inoltre tornava a rielaborare ogni sua lastra cambiando in continuazione stato, titolo, data, tiratura, fino anche a rifarla completamente. Questa sua anarchia, di metodo e di poetica – si tenne infatti lontano da tutte le avanguardie – fu il suo genio, ma è anche il limite oggi della sua fortuna. Insieme alla sua vena polemica, tagliente e sadica, difficile da capire per chi non è abituato all’ironia contadina marchigiana; come quella volta che definì Morandi “Ulderico il re della bottiglia” (frase presa in prestito da un’insegna di via Ripetta), incrinando così l’amicizia con il suo collega.
Impetuoso e poetico come la natura, che lui tanto amava; i suoi soggetti preferiti sono infatti i personaggi e soprattutto gli animali che egli incontrava lungo le sue passeggiate per la campagna. È infatti a contatto con la natura che l’artista trovava gli stimoli necessari ad esprimersi nel modo più poetico, riuscendo a cogliere gli aspetti più segreti e indecifrabili. “Non sono […] affrettate annotazioni”, dice Bartolini, “si tratta anzi di deformazioni liriche suggerite dalla mia estrosità poetica”. Come quando, avendo richiesto delle inquadrature fotografiche dell’Eremo dei Frati bianchi di Cupra Montana, per farne delle incisioni, dopo ripetuti tentativi da parte del fotografo, Bartolini disse: “ È più bella quella che ho io negli occhi”.
Scollegato da qualsiasi movimento artistico e letterario, in Bartolini anche la perizia tecnica passa sempre in secondo piano. Le sue stampe non presentano quasi mai il fondo completamente nitido, ma lasciano affiorare precedenti interventi che, al di là che togliere valore, contribuiscono ad alimentare il senso poetico. I suoi segni nervosi non seguono scelte ragionate, ma corrispondono a sensazioni ed intuizioni istintive nei confronti della natura; la rapidità del gesto è sinonimo di sintesi espressiva, ma anche e soprattutto di poesia. Anche nella tecnica compositiva Bartolini è originale: in una sola lastra di solito costringe tutti gli episodi essenziali di un’intera vicenda. Con l’accorpamento delle immagini, fatto con lucida intenzione narrativa, Bartolini ottiene risultati moderni, che sono stati equiparati ai racconti per immagini di fotografi e cineasti. È così che l’incisore marchigiano, superando ogni ottocentismo senza passare attraverso le avanguardie, ha espresso con il mezzo grafico tradizionale, moltiplicandone così le potenzialità espressive, le problematiche e la sensibilità sue contemporanee.
Una testimonianza del metodo di lavoro dell’artista di Cupra Montana la riporta Arnoldo Ciarrocchi, anch’egli valido incisore e pittore nativo di Civitanova, che, diplomatosi alla Scuola del Libro di Urbino, a quel tempo lavorava a Roma presso la Calcografia: “Bartolini veniva alla Calcografia solo per stampare, non lasciò mai in deposito nessuna prova perché da buon marchigiano non si fidava della disordinata amministrazione di Petrucci [direttore della Calcografia, N.d.R.]. L’ho visto stampare. Metteva ammollo la carta come il baccalà e le prove gli risultavano bene lo stesso. L’ho visto aggiungere sulla lastra fra una prova e l’altra segni con la punta del compasso. Esemplare unico. Bartolini aveva una piccola serie di timbri e si divertiva come un impiegato postale: prova rara, rarissima, es. u. ecc. E gli si deve dare ragione”.
Annalisa Filonzi
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