I baci più dolci del vino. Maloberti e Zegna
Il 5 ottobre, Marcello Maloberti sarà il quinto testimone di Fondazione Zegna All’Aperto, progetto di arte pubblica presentato a Trivero, cuore d’origine del marchio Zegna. Dopo la partecipazione in Biennale, l’artista si concentra sul suo primo intervento pubblico permanente.
All’Aperto è un’iniziativa della Fondazione Zegna, istituzione non profit che dal 2000 sostiene progetti in ambito culturale, sociale, medico e ambientale per comunità localizzate in varie parti del mondo. Nata con l’intento di rendere sempre più fruibile l’accesso all’arte contemporanea e ai suoi valori, All’Aperto sviluppa nell’area attorno a Trivero, con cadenza annuale e sotto la curatela di Andrea Zegna e Barbara Casavecchia, una serie d’interventi site specific permanenti ideati da artisti di fama internazionale che si rivolgono al territorio e ai suoi abitanti.
Il 5 ottobre, Marcello Maloberti (Cologno, 1966) inaugurerà a Trivero I baci più dolci del vino, un piccolo giardino delle delizie, il suo primo intervento pubblico permanente, di poco consecutivo alla sua partecipazione al Padiglione Italia.
Quali impressioni porti con te dopo questa Biennale? Quali aneddoti o ricordi sono ancora vivi?
Ti posso raccontare il momento in cui ho visto arrivare dal mare la chiatta che portava il masso di marmo. Si tratta di un grande informe che ho trovato a Carrara e all’improvviso l’ho visto leggero ed elegante come se la materia pura non avesse colpa. Un altro momento molto intenso è stato quando ho visto arrivare in Padiglione tutti i miei studenti che avevo chiamato per realizzare la performance. Erano un battaglione che faceva spavento, pronti ad assediare l’opera e il pubblico: è stato molto bello condividere con loro questa esperienza.
Ho capito che per occupare con forza uno spazio serve sensibilità. Istinto, ma soprattutto coraggio, anche correndo il rischio di urtare chi si sente rassicurato dai lavori minimi, o dalle opere che si guardano passivamente dalla finestra. Non vale la pena di rinunciare all’attrito e all’imprevisto: la forza dell’arte sta proprio nella possibilità del lavoro di uscire da un pensiero meccanico causa-effetto.
Quali sensazioni complessive hai recepito dalla direzione-Gioni? Cosa ti ha colpito e perché?
Conosco personalmente Gioni da molti anni, ha lavorato come sempre con la professionalità e l’intelligenza che lo distingue. Lui sa essere James Dean sia a Busto Arsizio sia a New York.
E a livello di pubblico, invece, che cosa ti ha colpito di più? Chi c’era a tuo parere, chi ha assistito alla tua performance?
Il pubblico girava tra i performer facendo esperienza di questo paesaggio di sguardi, ognuno lo ha vissuto in maniera particolare, c’era chi lo affrontava e cercava di parlare con i ragazzi, chi si teneva alla larga e guardava da lontano, chi era irritato dal casino: sai, io amo molto il sudore delle discoteche. Chi invece voleva arrivare al centro dell’opera per toccare il marmo, credo per capire se fosse vero, se stavano sognando o era davvero lì. Mi hanno colpito tutte queste diverse reazioni: il mio lavoro è molto legato alla forma che cambia, perché ogni momento è già passato, è sempre altro.
C’era poi un secondo pubblico, quello dei performer, la loro presenza e il loro osservare erano il motore del lavoro. Durante l’inaugurazione ho visto passare di tutto, c’erano molti artisti, da loro ho ricevuto sicuramente i commenti più interessanti. C’era anche chi diceva che sono la Lady Gaga dell’arte contemporanea, perché mi piace esagerare.
Per la cronaca, il titolo La Voglia Matta viene dal nome di una gelateria esagerata che c’era in via Padova a Milano e che ho amato molto.
La verticalità e l’assenza di gravità sono solo due temi che strutturano La Voglia Matta. Quale tipo di forza, di vettore attiva la presenza umana (mi riferisco all’installazione agita dagli attori della performance)?
I performer abitano l’opera non passivamente, ma come se fossero complici nella costruzione dell’immagine: la loro forza è quella di un esercito che presidia un avamposto. Come l’anima di una città in cui avvengono momenti d’incontro e occasioni di relazione, le architetture e le geometrie “agite” dai ragazzi creano una moltitudine eterogenea di piccoli mondi che si confrontano, si cercano e si attraversano, scoprendo un equilibrio sempre diverso. Questa è l’energia che muove La Voglia Matta.
A tuo parere, nel cuore dell’intero percorso del Padiglione Italia, come si è inserito, come ha funzionato La Voglia Matta? Quali elementi o concetti ha messo in luce rispetto, o grazie, agli altri lavori compresenti?
Con Bartolomeo Pietromarchi ho lavorato molto bene, è un curatore che davvero sa tirare fuori il meglio da ogni artista e da ogni opera. La scelta di posizionare il mio lavoro al centro del Padiglione è stata efficace, anche perché era il lavoro, con la sua forza centripeta, a richiederlo. Molti altri interventi hanno saputo raccontare diverse visioni di monumentalità e di scultura al limite con l’architettura. La sola presenza di Ghirri è stata come se il mio lavoro fosse anticipato da un monumento all’amore per la provincia italiana, tema cui anch’io sono molto legato.
Potresti descrivere, anticipandolo brevemente, il progetto e la performance che inaugurerai al pubblico a ottobre per il progetto All’Aperto della Fondazione Zegna?
Si tratta, come sempre nei miei lavori, della creazione di un luogo, di un set pensato per innescare azioni e costruire immagini. Si colloca in uno spazio pubblico di Trivero che era lasciato in disuso, una grande terrazza con campi da bocce, vicino alla palestra dove si usava organizzare balli e serate estive. Ho voluto trasformare uno spazio abbandonato in un giardino delle delizie, coinvolgendo gli abitanti del paese: mi sono confrontato con loro per capire meglio il tema della delizia, per costruire le azioni che abiteranno il giardino il giorno dell’inaugurazione.
Ti sei già confrontato altre volte con l’idea di permanenza in un luogo di dominio pubblico di un tuo lavoro? Come hai vissuto il pensiero dell’affidamento di una tua opera a un tempo e a uno spazio che saranno affidati a diversi fattori esterni (dagli agenti atmosferici all’interazione con il vissuto del borgo)?
È la prima volta che mi capita di pensare un lavoro destinato alla permanenza, anche se si tratta sempre di un lavoro sulla forma in cambiamento. Il giardino infatti è popolato da rose bianche, tigli, carpini, meli, lavande, tutte piante che con il tempo cresceranno e cambieranno l’aspetto del luogo. È un posto pensato per chi vuole baciarsi.
Mettendo a confronto La Voglia Matta e I baci più dolci del vino, quali caratteristiche monumentali o anti-monumentali i due progetti trasmettono?
Sono due luoghi con sapori completamente diversi. Al Padiglione l’azione che si svolge sulla cima del masso di marmo distrugge e ricompone ripetutamente l’immagine di un tramonto. Come il giorno, che ciclicamente nasce e muore, celebra il movimento desiderante che appartiene a tutto ciò che vive, in questo senso è un monumento fragile dedicato soprattutto al sole. I baci più dolci del vino è un’opera che non è pensata per essere monumentale, uno spazio che considero più come il cuore di un particolare tipo di sentire, quello suscitato dal sogno, dall’abbandono alla delizia, come mettere la testa sulle ginocchia di un altro e addormentarsi.
Quale insegnamento hai tratto dal paesaggio di Trivero? Ritieni che sia stato il territorio a guidare la tua installazione oppure, viceversa, sarà il segno del tuo passaggio a modificare, seppure in parte, il corso della natura?
Sicuramente la forte presenza della natura vicino a Trivero e all’Oasi Zegna mi ha portato a pensare al tema del giardino. Mi piace pensare che anche lo spirito con cui ho voluto realizzare il luogo contagerà la vita delle persone.
Progetti futuri, appena prima o subito dopo la partecipazione alla quinta edizione di All’Aperto per la Fondazione Zegna?
Sto lavorando a un’edizione di Circus per la Biennale di Salonicco a cura di Adelina Von Fustenberg, che inaugurerà a settembre: è un’opera nomade e itinerante che porto avanti da alcuni anni come un Marcello in tour sempre diverso. Circus è una lanterna magica, un ufo, la gente la vive, creando l’inaspettato, si esprime al meglio quando il pubblico diventa forma tra le forme. Ci sarà poi una mostra a San Paolo in Brasile e una Marsiglia.
Ginevra Bria
www.fondazionezegna.org/allaperto
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