Intervista. La scultura secondo Sir Anthony Caro
Abbiamo intervistato lo scultore allievo di Henry Moore, a Venezia per presentare la sua retrospettiva al Museo Correr. E così, tra ricordi e pensieri, ci racconta la sua scultura. E come il suo sguardo, che attraversa più mezzo secolo, ha visto cambiare l’arte.
Le mani. C’è chi dice che siano il nostro primo biglietto da visita. Lo scultore Max Solinas ne scrisse un’ode, una piccola poesia che s’intitola Le mie mani sono io: vissute, usate, sporche, ferite, guarite. Mani laboriose e mani da Sir, mani d’artista, che per decenni hanno modellato acciaio, gesso e bronzo. Come quelle di Anthony Caro (New Malden, 1924): grandi e ruvide ma delicate e sapienti, che raccontano più di qualsiasi biografia. L’abbiamo intervistato in esclusiva all’inaugurazione della sua retrospettiva, ospitata nelle stanze del Museo Correr di Venezia e visitabile fino al 27 ottobre.
Com’è per lei esporre qui a Venezia, al Correr?
Io adoro Venezia, cerco di venirci spesso, appena ne ho la possibilità. Qui, al Correr, qualsiasi opera beneficia di essere esposta in un luogo come questo.
Com’è nata questa mostra?
Prima ho fatto dei modelli in scala 1:20 e altri in scala 1:1, e poi abbiamo provato a metterli all’interno di un plastico del Correr, ma abbiamo fatto molti cambiamenti perché è una mostra concepita due anni fa. Inizialmente avevamo pensato a un’esposizione più cronologica e alla fine abbiamo deciso di lasciare le stanze quasi vuote. C’è di più nel meno, questa è stata l’idea finale.
Spazio, colore, materiali sono i suoi temi tipici: come ha fuso questi elementi nelle opere qui esposte?
L’allestimento di Daniela Ferretti è perfetto: i colori delle stanze – la luce – danno una sensazione leggermente diversa da ambiente ad ambiente. Durante gli Anni Sessanta dipingevo le mie sculture, poi invece è diventato necessario per me rendere più materiali i miei lavori. E a quel punto ho lasciato che parlasse l’acciaio anziché il colore.
Le opere qui presenti sono site specific o già realizzate in passato?
I lavori che ho portato qui li ho realizzati negli anni passati. Solo due sono nuove, ma non sono state fatte per questa mostra; le abbiamo semplicemente scelte. Volevo portare lavori che andassero dal passato ai nostri giorni, in modo tale da avere una panoramica più ampia.
Com’è stato lavorare con lo staff italiano di Gabriella Belli?
Non è stato difficile. Ricordo che molti anni fa ho fatto delle sculture in Brianza e non capivo assolutamente una parola d’italiano e chi lavorava con me non parlava inglese, ma riuscivamo a comunicare lo stesso. È tutto diverso in Italia: dal modo di pensare alla luce; qui è bellissima, in Inghilterra, invece, è sempre molto grigio. Non dimenticherò mai il sole brillantissimo e le nuvole scurissime della Brianza, e guardandole che ho cominciato a comprendere delle cose che non sapevo prima. Ho viaggiato molto e ho colto che non è importante capirsi a parole, chi lavora fisicamente con le mani parla la stesse lingua.
Come si è trasformata negli anni la sua arte?
Il cambiamento nasce dal rifiuto. Mi dicevano come dovevo fare – perché così era il canone – ma io ho iniziato a dubitare e non ascoltare più.
Il suo sguardo da artista attraversa molti anni, com’è cambiata l’arte in tutti questo tempo?
Sinceramente non so perché l’arte cambi, non è così facile afferrarla. Si deve provare piacere nell’arte – che sia musica o poesia – e bisogna saper dare qualcosa. Se l’arte è troppo semplice, non rimane a lungo nelle persone, perciò cerchiamo di dire sempre qualcosa di nuovo e di fresco, ma sempre con pertinenza a quanto si è fatto. Questo è il motivo per cui la mia arte cambia, un po’.
Che ne pensa dell’arte contemporanea?
Sono anziano adesso e mi è difficile a volte capire cosa fanno i giovani, ma cerco comunque di comprendere come e cosa pensino. È fondamentale.
Paolo Marella
Venezia // fino al 27 ottobre 2013
Anthony Caro
a cura di Gary Tinterow
MUSEO CORRER
Piazza San Marco 52
041 2405211
[email protected]
http://correr.visitmuve.it/
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