Renzo Piano è senatore a vita, assieme ad Abbado, Rubbia e Cattaneo. Benissimo l’omaggio, ma perché con una carica che andrebbe piuttosto abolita?
L’Italia è un Paese fondato sul riconoscimento ufficiale. Un Paese in cui l’alta onorificenza ha più valore delle reali condizioni in cui, ogni giorno, lavorano quegli stessi illustri gratificati. È di oggi la notizia della nomina di quattro nuovi senatori a vita: il nostro architetto di punta all’estero Renzo Piano, un grande direttore d’orchestra Claudio […]
L’Italia è un Paese fondato sul riconoscimento ufficiale. Un Paese in cui l’alta onorificenza ha più valore delle reali condizioni in cui, ogni giorno, lavorano quegli stessi illustri gratificati. È di oggi la notizia della nomina di quattro nuovi senatori a vita: il nostro architetto di punta all’estero Renzo Piano, un grande direttore d’orchestra Claudio Abbado, il Nobel per la Fisica Carlo Rubbia e una farmacologa studiosa delle staminali Elena Cattaneo. Una nomina prestigiosa, il più alto risultato raggiungibile dall’élite che meglio ci rappresenta agli occhi del mondo: quella della cultura e della scienza. I quattro sono delle eccellenze nei loro campi e fa piacere che, di tanto in tanto, la politica guardi fuori dal proprio recinto alla ricerca dell’Italia migliore. Ma quale senso ha oggi la nomina di senatore a vita? Certo, gli eletti siedono sui banchi del Senato e, avendo diritto di voto, partecipano attivamente alla vita politica della Repubblica.
In teoria, almeno. In pratica sarebbe logico pensare che essendo i nominati fortemente attivi ciascuno nella propria attività – si pensi a Piano che ha cantieri in tutto il mondo – il tempo da dedicare alla politica sia poco. Soprattutto se parliamo di personaggi finora estranei all’ambiente. Che la scelta sia infatti ricaduta su quattro personalità non appartenenti al mondo della politica è un altro smacco a un sistema evidentemente in crisi. Come a dire, si deve guardare fuori dal Palazzo per trovare personalità di spicco, qualificate, “portatrici di curricula e di doti davvero eccezionali, come attesta il prestigio mondiale di cui sono circondate” come ha ricordato Napolitano. Vogliamo davvero dare un alto riconoscimento a queste personalità? Permettiamogli di fare il loro lavoro. Quello che spesso cercano fuori dai confini. Creiamo le condizioni affinché possano esprimersi al meglio, non scappino all’esterno o che, quando questo avviene, quantomeno vogliano ritornare con piacere a lavorare nel proprio Paese. Possibilmente fuori dal Palazzo.
– Zaira Magliozzi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati