Una città dove si lavora bene? Napoli! Così Eduardo Souto de Moura, che insieme ad Álvaro Siza presenta alla Triennale di Milano la mostra su mezzo secolo di architettura alla portoghese
“Certo, se stai otto anni a fissare un buco per terra perché non riesci a procedere con i lavori ti viene un po’ di pessimismo. Ma solo qui puoi lasciare il tuo segno in mezzo a quello dei greci e dei romani, degli spagnoli e degli Angiò”. Solo qui, insomma, puoi sentirti partecipe della Storia. […]
“Certo, se stai otto anni a fissare un buco per terra perché non riesci a procedere con i lavori ti viene un po’ di pessimismo. Ma solo qui puoi lasciare il tuo segno in mezzo a quello dei greci e dei romani, degli spagnoli e degli Angiò”. Solo qui, insomma, puoi sentirti partecipe della Storia. Quella con la esse maiuscola. Oggetto del canto d’amore è Napoli, splendida e disperata, autore delle lodi il premio Pritzker 2011 Eduardo Souto de Moura, al lavoro con il connazionale Álvaro Siza sull’imponente progetto di ampliamento della metropolitana del capoluogo campano. “Devi mediare con la Soprintendenza, i soldi arrivano sempre in ritardo… però il contesto ti trasmette un grande ottimismo”: riflessioni ad ampio raggio quelle dell’archistar a margine della preview della mostra che, alla Triennale di Milano, passa in rassegna oltre mezzo secolo di architettura portoghese. “Studiavamo i vostri architetti, gli Scarpa e gli Albini” fa eco Siza, “ma è tutta la cultura italiana ad aver segnato la mia generazione: penso solo all’importanza del cinema neorealista” prosegue, tracciando un ponte tutto latino che avvicina il Mediterrano all’Atlantico.
Sono una quarantina i progetti selezionati dalla curatela di Roberto Cremascoli, che per la propria analisi parte dagli studi Anni Ottanta di Pierluigi Nicolin, fondamentali per sdoganare una prassi progettuale fino ad allora ghettizzata come provinciale. Assunta in breve a modello di respiro globale, come dimostrano i casi – documentati in mostra – dei lavori degli stessi Siza e Souto de Moura in Corea del Sud, Svizzera e Belgio. Disegni, bozzetti, interviste video e foto d’autore (tra gli altri ecco Gabriele Basilico e Mimmo Jodice) raccontano l’evoluzione di uno stile che ha saputo trovare intriganti soluzioni tanto nell’architettura tanto nel design. Ed è forse proprio nei duecento pezzi firmati dai vari Adalberto Dias e Carlos Castanheira, alcuni dei quali nati ad hoc per ambientare l’allestimento della mostra, che si esemplifica la novità di una scuola non più locale o regionale. Ma orgogliosamente e legittimamente internazionale.
– Francesco Sala
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