Buio pesto sul Macro. L’assessore alla cultura di Roma Flavia Barca, incalzata dalla stampa, non dirada le nebbie sul futuro del museo d’arte contemporanea
Era la prima vera uscita pubblica nell’agone dell’arte contemporanea per l’assessore alla cultura. Ed è l’inizio e l’apertura della stagione per un Macro, museo comunale d’arte contemporanea, per il quale ancora l’amministrazione non ha dato indicazioni univoche. Insomma, doveva succedere ed è successo: la conferenza stampa che presentava la straordinaria mostra del pachistano Imran Qureshi, […]
Era la prima vera uscita pubblica nell’agone dell’arte contemporanea per l’assessore alla cultura. Ed è l’inizio e l’apertura della stagione per un Macro, museo comunale d’arte contemporanea, per il quale ancora l’amministrazione non ha dato indicazioni univoche. Insomma, doveva succedere ed è successo: la conferenza stampa che presentava la straordinaria mostra del pachistano Imran Qureshi, realizzata dal museo romano in collaborazione con la collezione della Deutsche Bank, si è trasformata, dopo i primi convenevoli e le belle parole dell’artista, in un question time serratissimo tutto dedicato all’assessore alla cultura della città di Roma Flavia Barca.
Un fuoco di fila di domande piuttosto incalzanti (eufemismo) è stato indirizzato all’assessore da parte delle testate Il Messaggero, Repubblica, Artribune, Giornale dell’Arte e Corriere della Sera. Niente di fatto. L’assessore è riuscito a dribblare non senza abilità politica ogni questione diretta riconducendo ogni volta la faccenda sul piano generale, sul problema della vocazione pubblica degli spazi, sulla necessità di capire quale identità dare loro, sull’esigenza di non parlare di un singolo spazio ma di una rete di offerta e poi sulla relativa distribuzione. Il piccolo assalto è durato anche successivamente alla fine della conferenza stampa quando molti giornalisti e operatori del mondo dell’arte a Roma hanno accerchiato il tavolo continuando a rivolgere domande all’imperturbabile Barca non mancando di farle notare l’attuale ground zero di dialogo tra l’assessorato e gli addetti ai lavori.
Dopo alcuni mesi la cosa inizia ad essere preoccupante. Sia per l’atteggiamento dell’assessore (va bene non avere ancora modo di decidere, ma non aver ancora incontrato lo straccio di un addetto ai lavori per quattro mesi è normale?), ma soprattutto per le prospettive che l’amministrazione Marino vuole dare alla cultura in città. Non si è capito ancora se il comparto è considerato strategico dal nuovo sindaco, non si è capito ancora quali siano gli intendimenti di politica culturale, c’è solo vaghezza sul ruolo dei musei, sul rapporto con i privati, sul dialogo, appunto, con gli addetti in città che sono tanti e attivi: non sempre propongono ragionamenti assennati, è vero, ma questo non significa che non vadano ascoltati.
Flavia Barca ha sostanzialmente detto, anzi ha fatto capire manco fosse una navigata democristiana di quarant’anni fa, che la Fondazione Macro non è più una priorità (“si vedrà, in base a cosa decideremo di fare del museo”, già, ma quando deciderete?) Ha anche fatto capire che secondo lei far sottostare le istituzioni culturali ai tempi della politica (anche durante il precedente cambio di amministrazione, da Veltroni ad Alemanno, il Macro restò in ambasce praticamente un anno) è cosa sostanzialmente fisiologica e sta all’istituzione culturale stessa avere la propria spina dorsale e la propria identità per resistere a queste sevizie delle quali a quanto pare non è possibile fare a meno. E ha fatto anche capire che questa identità il Macro – a parere dell’amministrazione – in parte ce l’ha e in parte ancora no, mettendo un’ipoteca su una ricandidatura di Bartolomeo Pietromarchi alla direzione del museo che oggi sarebbe probabilmente la soluzione più sensata se non altro per le abili capacità che il curatore ha dimostrato nel fund raising.
Tra un “non è questa la sede” e un “la conferenza aveva altro come oggetto”, l’assessore ha cercato insomma di svicolare le questioni più significative rimandando a temi vaghi. In primis la ‘funzione pubblica’ del museo. Peccato che nessuno l’avesse mai messa in discussione e peccato che dovrebbe far parte della funzione pubblica anche il risolvere in tempi civili, sostenibili e umani questioni relative alle nomine, alle governance, agli incarichi. In modo da non lasciare in uno stato di sospensione un’istituzione che, in quanto museo d’arte contemporanea, si deve confrontare su un piano globale con altre istituzioni che, nei loro paesi, non vengono vessate da problemi di natura politico-elettorale ad ogni cambio di giunta. In nessuna delle città occidentali con le quali Roma ha necessità di confrontarsi, infatti, l’amministrazione può pigliarsi il lusso di riservarsi tre, quattro, cinque o sei mesi per prendere una decisione e dare una linea. Altrove i problemi si affrontano in termini di ore, di giorni, forse di settimane, non di trimestri. Il motivo per cui a Roma i tempi debbano essere dilatati e fuori da ogni standard e benchmark internazionale è stata un’altra domanda rivolta all’assessore Flavia Barca. Un’altra domanda che non ha avuto replica. Tutte le cariche provvisorie sono state rinnovate per l’intero mese di ottobre: fino a novembre la capitale d’Italia non avrà il direttore del suo centro d’arte contemporanea e non avrà il suo soprintentendente. Così sia.
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