Cosa ne pensi del proliferare di fiere, soprattutto in un mercato come quello italiano?
Credo che nel libero mercato sia corretta la presenza di diverse manifestazioni; le ritengo fondamentali per un costante aggiornamento e stimolo per migliorare l’offerta che viene garantita al pubblico, agli operatori e agli addetti ai lavori in termini di qualità. Come tutti gli organismi economici, sarà poi il consenso o meno alla manifestazione a decretarne il successo e l’espansione, o viceversa la flessione di visibilità e la successiva cancellazione dal calendario.
Ovviamente il mio ragionamento ha un senso se vi è quel famoso “libero mercato”… Laddove vi sono supporti pubblici e iniezioni trasversali di denaro, ritengo che non vi siano le premesse per una leale e dinamica messa in gioco e comparazione delle rassegne in oggetto: se su una piattaforma non ci sono le medesime regole, il risultato è “viziato”, così come la percezione concreta della singola manifestazione e il suo rapporto con i competitor, con l’aggravante che a volte il contribuente non ne è informato. Da parte sua, ArtVerona non gode di alcun contributo esterno e si finanzia completamente con gli investimenti di un imprenditore: in tal senso è un unicum in Italia, sostenendosi con le proprie forze e ovviamente con le quote degli espositori e degli sponsor.
Una riflessione sul mercato attuale e sul ruolo della fiera all’interno del sistema.
Il mercato attuale è specchio dei problemi economici che attanagliano la Penisola, per cui una tassazione non concorrenziale rispetto agli altri mercati internazionali e la mancanza di una defiscalizzazione degli investimenti in arte fanno sì che tutto risulti molto faticoso e che ciò privi il pubblico interessato di quella spinta ottimistica e di fiducia che, per questo settore in particolare, considerato di lusso, è invece estremamente importante. Il mercato dell’arte ha una forte arbitrarietà e volatilità nell’orientarsi, e tanto più necessita di una solidità programmatica e strutturale che, tuttavia, a causa di una politica compromissoria e reazionaria precipuamente italiana, risulta completamente assente.
Il ruolo che ArtVerona occupa vuole e deve diventare indubbiamente più rilevante, sia nei confronti del territorio (città e macroregione in primis) che nei confronti del panorama nazionale, ma non solo. Non potendo al momento contrastare realtà oggettivamente più forti per storia, investimenti e portata mediatica, deve inventarsi una posizione laterale basata sulla serietà organizzativa, la qualità delle proposte, la ricerca e la sperimentazione al fine di offrire un’occasione differente al pubblico, che altrimenti visita situazioni clonate, francamente poco appetibili sia per gli occhi che per il portafoglio.
Le peculiarità di ArtVerona, i suoi punti di forza (le ragioni per le quali pubblico e collezionisti dovrebbero venire) e le sue debolezze (gli aspetti che vorresti consolidare).
ArtVerona è una piazza alternativa nel sistema italiano, nel senso che offre progetti sperimentali che le altre manifestazioni presentano come collaterali e non strutturali alla fiera medesima. Io invece ho sempre pensato che la diversità fosse un elemento qualitativo aggiuntivo e l’omologazione una caratteristica deleteria, tanto più nell’arte, pertanto ho sempre ritenuto che linee di intenti nette e portanti fossero sempre preferibili per la ricaduta positiva di un progetto, culturale o imprenditoriale che fosse.
Per quanto riguarda le debolezze, sono sempre legate all’investimento economico ancora non sufficiente riguardo a questa manifestazione, con ciò che ne consegue in termini di pubblico, adesione delle gallerie internazionali e aziende di supporto sensibili. Ritengo che abbia pertanto grandi potenzialità sia per l’organizzazione che la connota, sia per il futuro riposizionamento della fiera scaligera nell’asset nazionale: ArtVerona risulta infatti molto più centrale di Torino per il pubblico, più innovativa di Bologna per le proposte culturali e può fungere da contraltare interessante alla situazione milanese per calendario e area geografica di incidenza.
Qual è il tuo contributo specifico alla fiera? Sei soddisfatto a livello di ruolo e risultati?
Credo che non si debba mai essere soddisfatti perché occorre sempre essere perfettibili, nonostante questo se collaboro con ArtVerona è per l’organizzazione, che ha sempre dimostrato una professionalità fuori dalla norma; una struttura agevole e dialettica che mi ha permesso di portare avanti i miei progetti con grande libertà di azione e nel rispetto dei termini di attuazione.
Il format On Stage e quest’anno progetti come Raw Zone, Level 0, nonché la consolidata collaborazione con Paola Marini dei Musei Civici e Cristiano Seganfreddo hanno reso l’edizione particolarmente vicina a quel modello di laboratorio che ha sempre accompagnato la mia personale ricerca, formativa per il pubblico ma ad appannaggio del valore. A Verona trovo che vi siano le condizioni ottimali per un lavorare bene in “provincia”, dando risalto e rilievo all’eccellenza qualitativa e a una diversa forma di fruizione delle proposte culturali che in fondo caratterizzano il made in Italy.
Qual è il motivo per cui dai ampio spazio alle non profit? Perché, in un evento di mercato, realtà che hanno come obiettivo di non fare profitto devono a tuo avviso avere un ruolo rilevante?
Ritengo che il dialogo per chi si occupa del medesimo settore, seppur in modo opposto e alternativo, sia sempre fondamentale per tutti: aiuta a ridefinirci e a modificare le nostre convinzioni e aspettative, al di là dei pregiudizi. Mi piacciono in generale i confronti: li trovo sempre stimolanti e il fatto di unire, all’interno del medesimo caravanserraglio, esperienze contrastive può aiutare il fruitore a comprendere la ricchezza basata sul plurilinguismo che anima questa sfida.
Vista la particolare “materia” di cui stiamo parlando, una fiera d’arte – pur nascendo come opportunità economica – non può esentarsi dall’essere anche una occasione culturale vivificante, spazio di ricerca osmotico, senza il quale si appiattirebbe a mero contenitore, collazione di stand. Dall’altro lato il mercato, per molti aspetti demonizzato dagli spazi non profit, favorisce la crescita di realtà altrimenti sussidiarie e marginali, consentendo a molte start up di divenire comunque modelli esemplari e alternativi di sviluppo e confronto.
Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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