La follia di Jan Fabre per Romaeuropa

Riproporre uno spettacolo di teatro di ricerca del 1984 ha senso? Le istanze rivoluzionari di tre decenni prima conservano il loro senso? E come reagiscono gli spettatori a un progetto lungo più di quattro ore? Eccessivo, ancora oggi, Jan Fabre a Roma. Sulla scena, e pure nella mostra che gli dedica il Maxxi.

È sempre difficile riportare in scena uno spettacolo di qualche decennio fa, e in questo caso sono quasi tre. Dal 1984 a oggi molte cose sono cambiate, fuori e dentro il teatro, e lo storico lavoro di Jan Fabre, The power of theatrical madness – di nuovo in scena al Teatro Eliseo nel programma di Romaeuropa Festival – mostra a tratti i suoi anni. Eppure rimangono ben chiare le sue istanze fondamentali: il gioco tra vero e falso, la dichiarazione d’amore verso la scena, una certa scena, quella che osa e supera il ciglio del già convenuto, guarda alla ricerca e accoglie la commistione delle arti. Quella commistione che Fabre ha attraversato nei suoi quasi quarant’anni di carriera tra teatro, arti figurative, performance.
The power of theatrical madness inizia prima dell’inizio con l’annuncio della sua durata: 4 ore e venti senza intervallo. Tanto? Poco, forse, se si tiene conto della possibilità di entrare e uscire a piacimento dopo la prima mezz’ora, a suggerire una fruizione libera dalle regole della tradizione teatrale occidentale. Lo spettacolo parte. Ora sta a noi, spettatori del 2013, il compito di tradurre o lasciare in forma originale quel che ci si offre allo sguardo.

Jan Fabre, The power of theatrical madness

Jan Fabre, The power of theatrical madness

Troviamo in nuce la violenza caotica dei suoi spettacoli successivi. The power of theatrical madness è piuttosto un fenomeno ipnotico che nasce nella ripetizione convulsa. I corpi nudi non sono osceni né trasgressivi, il dubbio sulla veridicità delle rane sacrificate sulla scena, l’ossessiva reiterazione di gesti, parole e date simbolo della storia del teatro sono un vero mantra: il catalogo è questo. E il pubblico vince le consuetudini e si trasforma in tifoseria da stadio di fronte alla prova di resistenza degli attori, costretti a sfiancarsi nel gesto atletico, coniugato con intellettualistico disorientamento alla declamazione di un lungo elenco di nomi e date.
Il teatro è la materia. C’è lo sforzo fisico all’eccesso, la ricerca del limite, il bacio che perde consistenza per diventare suono e ritmo. C’è lo svestirsi e il rivestirsi ossessivo che continua anche in mancanza degli abiti e diventa puro gesto. C’è la gag comica e la coreografia da musical, ci sono i corpi nudi che conquistano pose plastiche e alludono alla scultura classica, c’è il tempo reale che diventa tempo teatrale.
Ancora dentro e fuori. L’attore recita il teatro, il suo trasformarsi in guerriero della bellezza, è la recitazione che diventa oggetto stesso della scena.

Antonella De Santis

www.romaeuropa.net

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Antonella De Santis

Antonella De Santis

In editoria da 17 anni, è nata lavorativamente nel settimanale Romac'è, dove si è occupata di teatro e ristorazione con il ruolo di caporedattore. Una vita professionale portata avanti sul doppio binario del food e del teatro. Attualmente in forza…

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