Giuseppe Penone, omaggio a Versailles
È il primo artista contemporaneo italiano che espone negli spazi della reggia di Versailles. Per l'immenso parco e gli ambienti interni, Penone ha realizzato una ventina di monumentali sculture in bronzo e in marmo. Un intervento spettacolare, allestito fino al 31 ottobre
Si perdono nella vastità magniloquente dei giardini di Versailles, progettati dal giardiniere di Luigi XIV, André Le Nôtre: sono grandi sculture dislocate tra le file di querce, le geometrie di piazze e viali, le candide statue neoclassiche e le prospettive rigorose. Nuove presenze, smarrite nell’aristocratico parco di Re Sole, ma mai sopraffatte o sminuite. Perchè Giuseppe Penone, uno dei maestri dell’Arte Povera, tra i più grandi artisti italiani viventi, dell’armonia tra le opere e i luoghi ha fatto la sua arte, declinando la diffusa vena concettuale nei toni di una personalissima cifra poetica.
A Versailles, dopo gli interventi di star internazionali come Takashi Murakami e Jeff Koons, l’artista piemontese inaugura un dialogo meditativo con gli ambienti interni ed esterni della reggia. Come a descrivere il perimetro di uno spazio visivo, tanto maestoso quanto raccolto, Penone calcola distanze, fughe, proporzioni, innestandosi con grazia sull’impianto architettonico di Le Nôtre e poi cercando le armonie necessarie tra la genuinità dei materiali palstici e la fastosità degli ambienti. I tòpos del suo lavoro ci sono tutti. Gli alberi e le foglie, protagonisti monumentali del suo teatro estetico, e quella conosociuta commistione di legno, marmo, bronzo, esaltati nella percezione tattile e olfattiva.
Così, l’odore fresco e speziato delle foglie di tè, ammassate sui muri, ridefinisce i contorni della stanza, proiettandola verso l’orgine della vita stessa. Tra scorza e scorza è invece un enorme tronco spaccato in due, titanico reperto di una furiosa tempesta, che all’interno custodisce una quercia, sbocciata nel vuoto che separa le due parti, aprendo a possibili rigenerazioni.
I blocchi di marmo, idealmente in dialogo con i nudi mitologici che abitano il giardino, altro non sono che rappresentazioni astratte di un’energia sotterranea, come radici che spingono da sotto la superficie, come increspature d’acqua o intrecci vascolari, materia che trasmuta e intercetta i suoni, i timbri, gli equilibri intorno. E poi quel tronco folgorato e divelto, successivamente fuso in bronzo, che orienta lo sguardo e buca l’azzurro del cielo, con una patina d’oro a rivestire le ferite, quasi facendosi esso stesso fulmine, fiamma.
Nel solco tra monumentalità e dinamismo si colloca ancora Sigillo, un tappeto marmoreo su cui è rimasta impressa, in negativo, la texture di una colonna lavorata in rilievo, srotolata sul lungo ritaglio bianco. E’ un altro segno inciso sulla vasta superficie dei giardini, adagiato tra la ghiaia, a raccontare una storia di relazioni mute, di tempi circolari.
Quello orchestrato da Penone per Versailles è un unico concerto per immagini, in cui altezze, volumi, strutture, consistenza delle superfici, fragranze, scritture cesellate, si armonizzano nell’idea di una relazione processuale tra le forme dell’arte e quelle del paesaggio, entrambe chiamate a rincorrersi, a specchiarsi, a tentare innesti virtuosi. Inseguendo quel “principio d’identità fra essere umano e natura“, che salva e che supera la storia.
Helga Marsala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati