Dal David al dentifricio
Nel primo capitolo dell’introduzione alle “Vite”, dedicato alle “diverse pietre che servono agl’architetti”, Giorgio Vasari riserva una grande attenzione, com’è suo costume, alla Toscana, conducendoci da un angolo all’altro della regione, sulle tracce delle pietre e dei marmi che vi si estraggono. Da “la pietra serena, e la bigia detta macigno, e la pietra forte” con cui fu costruita Firenze, al candido marmo di San Giuliano di cui “è incrostato di fuori il Duomo et il Camposanto di Pisa”.
Grande risalto conferisce messer Giorgio Vasari ai marmi della Versilia medicea, in ossequio all’impegno profuso dai sovrani toscani per incentivare l’escavazione in quelle contrade; all’avvio dell’attività estrattiva diede un fondamentale contributo Michelangelo, come ha raccontato una piccola mostra al Fortino di Forte dei Marmi.
Imprescindibile invece, per saperne di più sulla passione dei granduchi per il settore lapideo, è una visita al museo del fiorentino Opificio delle Pietre Dure, dove l’occhio ha davvero di che godere, tra coloratissimi commessi, pitture su pietra paesina e ritratti di porfido. Naturalmente l’autore delle Vite non tralascia di menzionare le “montagne di Carrara” da cui si cavano “molte sorti di marmi […] e per lo più una sorte di marmi bianchissimi e lattati, che sono gentili et in tutta perfezzione per far le figure”.
Oggi purtroppo di “figure” se ne fanno poche: buona parte del marmo lascia Carrara sotto forma di detriti che poi, ridotti in polvere, sono utilizzati come abrasivi nei dentifrici e per altre produzioni industriali. Con lauti guadagni per pochi e gravi problemi per la collettività. Con ritmi di estrazione ormai folli.
È incredibile che la civilissima Toscana, in grado di salvaguardare piuttosto bene ampie porzioni del suo territorio, accetti che entro i suoi confini si consumi la distruzione delle Alpi Apuane, da molti non a torto ritenuta il più grave disastro ambientale d’Europa.
Fabrizio Federici
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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