Donne in asta
Fatturano meno di un ottavo degli uomini, rappresentano il 5% delle opere nelle principali collezioni, vedono incrementare le proprie valutazioni solo quando i lavori dei colleghi maschi arrivano a prezzi stellari. Però i loro corpi rappresentano la stragrande maggioranza dei nudi esposti nei musei. Una lettura gender-oriented del mercato contemporaneo.
Asta dopo asta, sono sempre più numerosi e clamorosi i record per i singoli artisti. Ma di nomi femminili, ce ne ricordiamo qualcuno? Jackson Pollock, Gerhard Richter, Barnett Newman: sono solo gli ultimi di una lunga serie di top price tutti al maschile, come d’altronde è nettamente inferiore la presenza di artiste donne nei relativi cataloghi d’asta.
Scorrendo la Top 100 dei fatturati annuali dei singoli artisti, quante donne compaiono? Nel 2012, ad esempio, solo due: Joan Mitchell (57esima) e Yayoi Kusama (87esima), con un totale rispettivamente di $ 29.8 e $ 20.3 milioni, contro la prima posizione di Andy Warhol, che ne vale 329. Se allarghiamo la classifica alle prime 300 posizioni, troviamo altre cinque artiste: Louise Bourgeois al 116esimo posto con $ 16.8 milioni, Tamara de Lempicka al 150esimo ($ 12.5), 172esima Georgia O’Keeffe ($ 10.8), 263esima Agnes Martin ($ 6.8) e la giovanissima Beatriz Milhazes al 299esimo posto con $ 5.8 milioni.
Secoli di esclusione dalla produzione artistica hanno portato come risultato all’assenza delle donne dai cataloghi degli Old Master Paintings; decenni di dibattiti sessisti le hanno poi tenute lontane dai circoli artistici, con scarsa presenza anche nei cataloghi del Dopoguerra. Lo scenario contemporaneo ha invece tutt’altro aspetto, grazie all’apertura dell’ultimo quarantennio. Infatti, se mettiamo a confronto i dieci prezzi più alti in assoluto battuti in asta, divisi per sesso, nella classifica maschile solo due artisti sono ancora viventi, mentre in quella femminile ben la metà è ancora attiva. Il prezzo più alto è stato battuto per un’opera della Bourgeois, seguita dalla pittrice astratta Joan Mitchell, che però è l’artista donna con il maggior fatturato annuale. Il record per un’artista vivente spetta a Cady Noland con $ 6.6 milioni, rubato al precedente di Marlene Dumas.
La regina dei dots Yayoi Kusama non raggiunge ancora queste cifre, ma vanta un volume d’affari ragguardevole grazie alle numerose stampe e multipli che ne alimentano il mercato, facendola rientrare nella Top 100 globale, con prezzi che sono saliti dell’880% dal 2002. Cindy Sherman invece trionfa nel suo medium, con i $ 3.8 milioni che si è aggiudicata nel 2011, il prezzo più alto mai battuto per luna fotografia, record che ha perso alcuni mesi dopo, quando Andreas Gursky ha raggiunto i $ 4.3 milioni con Rhein II.
Per fare un confronto sul dislivello dei prezzi tra gender basta pensare al record per un artista maschio del dopoguerra, detenuto da Mark Rothko con $ 86.9 milioni, mentre il record per una donna si attesta molto al di sotto, con i $ 10.7 milioni di Louise Bourgeois, conquistati però nel 2011 grazie a una scultura di oltre sei metri.
Il successo e la riscoperta recente di alcune artiste è conseguenza della crescita vertiginosa della loro controparte maschile, mettendo a disposizione opere a miglior prezzo dello stesso movimento artistico. Proprio Joan Mitchell ne è un esempio: collega di de Kooning e Pollock, era riuscita a entrare nel circolo della Cedar Tavern – celebre ritrovo degli esponenti dell’Espressionismo Astratto – bevendo e fumando come un uomo, anche se i colleghi faticavano a riconoscere il suo talento. Lee Krasner, invece, ha sacrificato il proprio talento artistico al ruolo di moglie, sostenendo il marito Pollock nelle sue fragilità. Anche Frida Khalo è diventata famosa, almeno inizialmente, più per la sua relazione con il grande Diego Riveira piuttosto che per la sua opera. Agnes Martin, che ha segnato passaggi importanti nella storia del Minimalismo, sta vivendo una rivalutazione di molto posteriore rispetto a personalità come Donald Judd o Sol LeWitt. Artiste rivalutate proprio ora che i colleghi maschi hanno raggiunto quotazioni inavvicinabili.
A ulteriore conferma di questa tendenza, il fatto che i prezzi più alti delle artiste donne sono stati battuti negli ultimi cinque anni, e soprattutto il 2011 è stato un anno record per molte di loro, dalle storiche Tamara de Lempicka e Irma Stern alle contemporanee Barbara Kruger, Rosemarie Trockel e Louise Lawler nel 2012.
Il mercato all’incanto è tuttavia soltanto lo specchio della scarsa valorizzazione nel sistema dell’arte in generale: ad esempio, le artiste donne sono in netta minoranza anche nelle principali collezioni museali. La ricerca di un gruppo femminista inglese, ELF – East London Fawcett, ha infatti messo in luce come la percentuale di artisti uomini presenti alla Tate Modern sia addirittura l’83%, e tra le 2.300 opere della collezione della National Gallery siano presenti solo 11 donne. Nel 2012 il Seattle Art Museum ha voluto lanciare un segnale per bilanciare la storia dell’arte, rimuovendo tutte le opere di artisti per rimpiazzarle con quelle delle donne, da Georgia O’Keeffe a Pipilotti Rist, anche se solo per pochi mesi. La media della presenza femminile nelle collezioni resta comunque stimata al 5%, media valida anche per quella del Metropolitan Museum. Dove, però, l’85% dei nudi rappresentano corpi femminili.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #15
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