Un anno con James Turrell e Robert Irwin: fotogallery da Villa Panza, per la preview della maxi-mostra realizzata insieme a LACMA e Guggenheim. Tra site-specific storici e nuove spettacolari installazioni
Viene detto, ripetuto e ribadito. Ma più che le parole vale forse quel gesto di tenera complicità, sfuggito ad una padrona di casa che non riesce a non essere davvero tale. Chiude il suo intervento, dopo il profluvio di giaculatorie e ringraziamenti alla lunga anche un po’ stucchevoli, con una carezza leggera al suo ospite […]
Viene detto, ripetuto e ribadito. Ma più che le parole vale forse quel gesto di tenera complicità, sfuggito ad una padrona di casa che non riesce a non essere davvero tale. Chiude il suo intervento, dopo il profluvio di giaculatorie e ringraziamenti alla lunga anche un po’ stucchevoli, con una carezza leggera al suo ospite più caro e prezioso, amico e maestro. Trasmettendo così il senso di un rapporto davvero familiare, tanto profondo da annichilire la retorica del momento. Sotto l’infinita barba bianca James Turrell arrossisce, timido, davanti alla spontaneità di Giovanna Panza di Biumo: che apre le porte della villa alle porte di Varese per un evento che ha tutti i crismi dell’unicità. Perché in questo 2013 Turrell ha esposto solo al LACMA e al Guggenheim di New York, partner insieme al Getty Institute di una mostra destinata a durare un anno intero: quella che lo vede accompagnato dai lavori di Robert Irwin è la più intensa, importante, ricca e monumentale mai realizzata nello spazio oggi gestito dal FAI.
Irwin non c’è, volato in fretta e furia a casa in ossequio al Giorno del Ringraziamento: altro segnale di colloquialità e bonomia, di un rapporto che esula dal tradizionale legame tra artista e committente, artista e mecenate. Una lunga storia cominciata esattamente quarant’anni fa: con Giuseppe e Giovanna a raggiungere l’Arizona come “cani da caccia”, in cerca di nomi nuovi ed opere diverse. Non per speculazione, non per calcolo, ma per quella sana passione che li porta a restare ammaliati da quel ragazzone taciturno che li fa accomodare sul pavimento del suo studio e li obbliga a fissare per quattro ore una finestrella aperta sul nulla. Questione di folgorazione. Il cielo si sposta implacabile, un centimetro alla volta, dalla luce piena del pomeriggio al nero della sera, offrendo il suo tesoro insieme più semplice e prezioso. Il tempo: dimensione da corteggiare e sedurre, fare propria. “Quando sono arrivato qui la prima, quarant’anni fa” speiga Turrell “penso che Giuseppe Panza non sospettasse che gli avrei levato il tetto da sopra la testa!”. Nasce invece Sky Space 1, storico intervento oggi accompagnato da un’altra ventina di vecchi e nuovi lavori. Opere non-opere, effimeri giochi di luce che inducono a ripensare la propria capacità di percezione e dominio dello spazio. Arrivando, nella spettacolare camera bianca di Ganzfeld, alla madre di tutte le esperienze immersive.
– Francesco Sala
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