Il cinema della crisi a Torino
In questi giorni di Torino Film Festival, che cosa abbiamo imparato? Che nella vita non ne vale la pena. La trama si rarefà dissolvendosi in una tensione piatta e indistinta, dove qualsiasi cosa capiti fa lo stesso: è finita l’era della tragedia e così anche quella della commedia; niente più intreccio.
La depressione, l’indolenza, l’inettitudine di questi eroi a-titanici che hanno smesso di combattere si protrae dal Canada (The Husband, 2013) alla Francia (Suzanne, 2013): che il protagonista sia uomo o donna, adulto o ragazzino, orfano o meno, chi si salva? Non c’è passione, non c’è tensione erotica, quindi non c’è morte né violenza, non c’è sesso, non c’è delitto, non c’è lealtà e se c’è tradimento è inconsapevole quanto poco eccitante. Il nemico, l’obiettivo e l’amato si sono disgregati lasciando una pellicola di polvere dove un grigio sordo apre la strada a quello dopo.
Sarebbe questo il colore della crisi? Il colore del post-capitalismo, della depressione post-partum? La religione è una buffonata, la famiglia è distrutta, i sentimenti sono una piccola zanzarina fastidiosa, grandi sogni non ce ne sono più; niente contatto, niente joie de vivre, niente soluzioni a problemi mai abbastanza gravi per tentare di risolverli. L’uomo non è più al centro, se non di un vortice di piccole sventure non ben identificate, che come macchioline di varicella compaiono e scompaiono burlandosi del povero malato di turno.
Non è l’ironia amara di C.O.G. – dove uno studente di Yale dalla sessualità indistinta raccoglie mele in una fabbrica per fuggire dalla rottura con i propri genitori e, abbandonato dalla sua migliore amica, si fa intortare da un prete iracondo a malapena uscito dall’alcolismo – a dare una nota di speranza in questo ciclo di proiezioni; mentre nel film di apertura (Last Vegas di Jon Turteltaub), su uno sfondo color casinò, bikini, cocktail e tanta stupidità, almeno due risate tra un Robert De Niro e un Morgan Freeman ce le siamo fatte.
Clara Rosenberg
http://www.torinofilmfest.org/
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