Masbedo, lo sguardo oltre. Un film per la Fondazione Hospice Seràgnoli
Un film realizzato per una campagna benefica di finanziamento lanciata da una Onlus emiliana. Un progetto firmato dai Masbedo, costruito intorno al rapporto tra lo sguardo ed il paesaggio. Tra senso del sublime, meccanismi della visione ed essenza della bellezza in natura
Cercare fondi per scopi umanitari, sfruttando il potere dell’arte e della creatività. È la sfida inaugurata dalla Fondazione Hospice Seràgnoli Onlus (con sedi a Bentivoglio, Bellaria e Casalecchio), che ogni due anni lancia do ut do, una poderosa campagna di fundraising, necessaria ad alimentare le sue attività di cura, accoglienza ed assistenza dei malati terminali e delle loro famiglie. Se l’edizione del 2012 era dedicata all’arte contemporanea, quella del 2014 ruoterà intorno al design e coinvolgerà alcuni tra i maggiori nomi internazionali, da Odile Decq a Doriana e Massimiliano Fuksas, da Massimo Iosa Ghini a Daniel Libeskind, da Alessandro Mendini a Richard Meier, da Emilio Ambasz a Claudio Silvestrin. Due padrini d’eccezione, per entrambe le edizioni: nel 2012 Yoko Ono, che ha donato il suo Wish Tree, e per quest’anno il duo Masbedo, che ha per l’occasione ha prodotto un video, Look Beyond, proiettato in anteprima durante la presentazione alla Collezione Peggy Guggenheim e poi arrivato sul web.
L’”esistenzialismo tecnologico” dei Madbedo – come essi stessi amano definirlo – affida allo strumento audiovisivo una ricerca essenzialmente rivolta all’uomo, al paesaggio e alla loro armonica fusione estetica, poetica, concettuale. Dalle arti visive al teatro, passando per la musica ed il cinema, i Masbedo hanno tracciato un percorso esplorativo eclettico, in cui la contaminazione linguistica diventa strumento per un’indagine ampia, capace di toccare corde differenti e di proiettare lo sguardo verso orizzonti multipli.
Ed è proprio con l’evidenza dello sguardo, come idea e suggestione visiva, che si apre Look Beyond: protagonista è l’immagine di un occhio che divora lo schermo, spalancato, ravvicinato, decritto dai vasi capillari e i fotoricettori, dal lucore di scintille elettriche, dal fremito delle ciglia e il bianco e nero di bulbo e pupilla. Poi, una sequela di frammenti come segmenti di pellicola o di memoria, con cui procedere dall’anatomia oculare al senso della visione, intesa come dimensione esistenziale e relazionale.
La bellezza struggente di un mare d’inverno, nero come la pece, sfuma tra i vapori ghiacciati, mentre il ritmo è scandito dai riflessi – quelli tra le increspature della pelle e lo scintillio dell’acqua – dalle oscillazioni lente di un fiore selvatico, dai movienti di una mano, di un banco di nebbia, di un’onda schiumosa, e ancora dell’acqua, di un occhio, di un’ombra sul muro.
La primavera arriva, accesa, scandita da immagini di volti e di tramonti: memorie roventi, tra cieli arancio e rami d’inchiostro, incisi. Ed è tutto un guardare, sentire, registrare, infine ricordare, nel cortocircuito che schiaccia il tempo retinico e quello sentimentale. Al di qua dell’occhio, là dove i nervi lavorano con le sinapsi, la telecamera esplora, avanza, seziona e spia, muovendosi tra l’iride e il paesaggio. Così che l’avventura percettiva sia tutt’uno col miracolo della contemplazione.
Helga Marsala
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