Nuove regie (e drammaturgie) per nuove generazioni
Lo scrivono anche in India: se vogliamo portare nuove generazioni al teatro classico (nel caso specifico si tratta di rappresentazioni dove prevale la danza), occorre aggiornare drammaturgie e regie. Lo documenta a tutto tondo il professor Damodaran dell’Indian Institute of Management in “The Locus of Creativity in Classical Performing Arts: Economics and Intellectual Property in Theatre Management”, articolo che si può scaricare gratis et amori Dei.
Vale la pena di rifletterci dopo le proteste per una regia innovativa della Traviata all’inaugurazione della stagione della Scala. Dopo tre ore di ascolto intenso, con anche applausi a scena aperta, si sono scatenati fischi dal loggione contro il regista e scenografo, Dmitri Tcherniakov, e la costumista Yelena Zaytseva, nonché contro il direttore d’orchestra Daniele Gatti. C’è stata una convergenza tra due opposte tifoserie: da un canto chi si attendeva da Tcherniakov e dalla sua squadra un lavoro trasgressivo e politico, dall’altro chi voleva qualcosa di elegante e sfarzoso, simile allo spettacolo firmato da Liliana Cavani (con scene di Dante Ferretti) visto alla Scala dal 1990 al 2008. In aggiunta, hanno pesato intrighi interni al teatro: la fazione dell’orchestra che non voleva Gatti come direttore musicale (alcuni giorni dopo il CdA ha nominato Riccardo Chailly) ha dotato di fischietti un gruppo di loggionisti.
L’allestimento di Tcherniakov presenta La Traviata come una commovente, struggente storia d’amore tra due giovani in un ambiente borghese di qualsiasi Paese europeo ai giorni nostri. Un amore nato sotto maligna stella, pieno di fisicità ma in cui domina il sentimento e gli accenni all’eros sono molto sfumati. Una lettura che sarebbe piaciuta a Verdi. Lo spettacolo, che ha avuto un grande successo alla rappresentazione per i giovani, proprio perché scava nell’amore tra giovani. L’emotività delle tifoserie probabilmente si calmerà. Reazioni molto più forti ebbe la produzione di Peter Mussbach quando, nel luglio 2003, debuttò a Aix-en-Provence: da allora solo alla Staatsoper di Berlino si replica almeno dieci sere l’anno. E La Traviata davvero trasgressiva firmata da Irina Brook con cui nel 2005 venne inaugurata la stagione del Comunale di Bologna e che all’epoca scandalizzò alcuni “benpensanti” è ancora in giro nei palcoscenici di mezza Europa.
Una scelta opposta è stata fatta dal Teatro dell’Opera di Roma, il cui verdiano Ernani coprodotto con Sydney e San Paolo del Brasile viene presentato come una baldanzosa sfida di un giovane contro adulti e anziani, ma come una serie di tableaux vivants di Hugo de Ana, che sono piaciuti al pubblico romano ma non colgono il nucleo centrale di un dramma essenzialmente intimista. Regia ipertradizionale, pochi giovani in sala.
A fine novembre, a Berlino, due nuovi allestimenti di opere frequentemente in repertorio: Così Fan Tutte di Mozart alla Komische e Falstaff di Verdi alla Deutsche Oper. Così fan tutte si svolge ai giorni nostri nello studio di un pittore, in un loft. La regia di Alvis Hermanis, le scene di Uta Gruber-Ballehr e i costumi di Eva Dessecker rifuggono da scene di sesso (consuete alla Komische). Don Alfonso, interpretato da Tom Erik Lie, è il titolare quarantenne di un laboratorio di restauro di quadri francesi del Settecento (quelli sì stracolmi di eros). Il cast è composto da giovani tutti attraenti e bravi attori. Le due coppie hanno l’età ideale per un gioco di amore e inganni a sfondo sia sentimentale sia sessuale. Nello studio si parla tedesco (il testo è in traduzione ritmica) ma si torna al libretto originale di Da Ponte (in italiano) quando le due coppie si travestono nelle guise settecentesche delle tele che stanno restaurando.
La nuova produzione di Falstaff ha la regia di Christoff Loy (le scene sono di Johannes Lelacker), i costumi di Ursula Renzebink e la direzione musicale di Donald Runnicles. Loy prende a prestito un aspetto dell’allestimento presentato l’estate scorsa da Damiano Michieletto a Salisburgo: l’opera si svolge oggi nella casa di riposo per musicisti anziani creata da Verdi a Milano. Mentre però in Michieletto il gioco era poco convincente (come far sprizzare eros a Fenton e Nannetta se sono due vecchietti?), Loy ha un’idea geniale: man mano che interpretano l’opera, gli anziani della casa di riposo ringiovaniscono (o credono di ringiovanire). Inoltre, sin dalle prime battute Nannetta è un’avvenente infermiera e Fenton un aitante portantino: un vero omaggio alla sempiterna giovinezza della musica. Loy pone l’accento su una caratteristica poco notata del Falstaff: è un’opera molto sensuale. Il tratto saliente è la vitalità, l’ingordigia della vita, lo stesso appetito che si ha per il buon cibo o per le buone bevande. Un appetito che, grazie alla musica, resta invariato quale che sia l’età.
Giuseppe Pennisi
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