Reinfetazione, benessere-malessere & miracoli al contrario
Il boom negativo, miracolo al contrario: l’atmosfera psicologica di questo Paese – da anni ormai – sembra l’esatto opposto di quella “1960 on the road”, frenetica e fantastica, descritta da Alberto Arbasino ne La bella di Lodi (1972).
Scrive Alberto Arbasino ne La bella di Lodi (1972): “Ristorante Motta, a cavallo dell’autostrada. Trionfo di cristalli, riflessi, Topi Gigi, alluminio, finto mogano e palissandro, cellophane, pacchetti lussuosamente confezionati di krek e biscotti e zamponi ornati di emblemi di segnaletica stradale, molto abbondanti anche sulle porte d’entrata e d’uscita” (Adelphi 2002, p. 101); “Loro ballano insieme per tutta la sera, si siedono, s’alzano, camminano, bevono, sorridono, soprattutto parlano: allegramente, anche seriamente, in confidenza, con scioltezza, figurine in un paesaggio d’estate padana, colorata, abbastanza sudata, pianura verdissima con filari di viti e di pioppi, ville, prati, architetture nobilissime, nuove fabbriche a centinaia, laterizi, maglierie, motori, tortellini alla panna, Wiligelmi sublimi, corse di motociclette, canzoni, zamponi, garages in tutti gli stili…” (ivi, pp. 113-114).
Benessere. Malessere. Male di essere. Un male di vivere, esistenziale, deprivato dell’esistenzialismo: senza dunque neanche i vantaggi minimi di un’intera elaborazione culturale e mentale; senza riflessione. Un malessere senza autocoscienza, stupido, ottuso, nebuloso. Per ora. Isteria collettiva: una specie di incendio che si appicca ai cervelli: dare la colpa sempre e soltanto ai politici (“bastardi-ladri-incapaci-farabutti-miserabili-ecc. ecc.”) è certo molto più comodo che analizzare non tanto le proprie colpe, quanto la propria obsolescenza (ancora, molto più grave); il fatto che il tuo declino non è un torto che qualcun altro ti fa, non è un furto, né una maledizione divina, ma è proprio… il tuo declino. Del resto, il pensiero apocalittico de: “L’Italia sta fallendo; tutto finisce, tutto è finito” è in fondo la consolazione ultima. Definitiva. È la più articolata – e al tempo stesso la più semplice – delle retoriche con cui ci avvolgiamo, nelle quali ci imbozzoliamo (come in coperte sbrindellate e marcescenti). Perché permette di rimuovere il pensiero atroce e semplicissimo che tu sei finito, tu stai finendo, mentre il resto va avanti e andrà avanti, in forme che neanche riesci a immaginare. Che il nuovo inizio non ti riguarderà in alcun modo – come è perfettamente naturale che sia.
E invece, in questa maniera molto italiana ci si illude (soprattutto certi “giovani” si illudono, il che è davvero straordinario) che il vecchio sistema possa sopravvivere intatto, tale e quale, (imbozzolato) all’interno del nuovo, dell’epoca successiva: ma che razza di cambiamento sarebbe? Un cambiamento, ancora una volta, molto italiano.
Sono tutti così infelici.
Mi riempie di tristezza ascoltare quanto profondamente le persone della mia età in Italia siano insoddisfatte di ciò che fanno – della loro vita professionale. E questa insoddisfazione si riverbera ovviamente in tutti gli altri aspetti. Questa insoddisfazione nasce dallo sfruttamento: quasi tutti svolgono l’equivalente di due-tre mansioni, sono sottoposti a un’incredibile pressione – a cui non corrisponde minimamente la retribuzione: a cui non c’è gratificazione – che disfa e sfarina e disintegra il tempo della vita, lo spazio esistenziale.
Quando sentiamo dire in giro che ‘la gente non vive più’, è vero in maniere che di solito non sospettiamo neanche. Questo presente è una distopia, che ha avuto origine da un deragliamento. Condividiamo la sensazione molto netta che in qualche punto spaziotemporale (il 2001?) le nostre vite come le avevamo programmate e desiderate, i nostri futuri così come ce li eravamo immaginati, abbiano deragliato. Siano esondati dal loro corso.
L’amarezza è il sentimento dominante di questo tempo storico.
Il che non vuol dire che questo deragliamento non sia o non possa essere qualcosa di profondamente interessante – anche più interessante delle vite parallele, delle vite che non stiamo avendo, delle vite “come avremmo voluto che fossero”. Eppure, non vedo ancora attorno a me la disposizione d’animo giusta per staccarsi dai vecchi desideri e sfruttare questo tesoro esperienziale. Ciò che domina è l’incredulità per questa sottrazione, il senso acuto della perdita secca e l’incapacità di dominare gestire articolare adeguatamente questo senso. Al di là, molto al di là della frustrazione, della recriminazione, della nostalgia.
“Quanto alla Tv e a ciò che espongono le edicole, il predominio dell’informazione neoliberale non potrebbe essere più evidente. La fabbrica dell’egemonia, gramscianamente parlando, del consenso che non ha bisogno (quasi mai) di ricorrere alla violenza, gira a pieno regime. Senza di esso il colpo di Stato effettuato da banche e Stati europei contro lo stato sociale e il lavoro non sarebbe stato possibile. Anche se in una prospettiva propriamente politica a un certo punto si dovrà pur arrivare a riforme profonde del sistema finanziario, del Trattato Ue, delle politiche economiche, appoggiate da adeguate forze elettorali, è forse dallo smontaggio di tale fabbrica che bisognerebbe cominciare” (Luciano Gallino, Introduzione. Una crisi scaricata sui cittadini con misure autoritarie, ne Il colpo di Stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa, Einaudi 2013, p. 19).
Christian Caliandro
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