I bambini di Fukushima. La strage radioattiva e l’infanzia negata
Non c'è pace per gli abitanti del Giappone, evacuati nel 2011 dai dintorni di Fukushima. Nuovi vapori radioattivi segnalati in queste ore. In un piccolo, poetico film animato, la vita di una bambina si misura nello scontro tra realtà e immaginazione, tra incubo e sogno
La tragedia esplose il 13 marzo del 2011. Una data che resterà come un marchio a fuoco nella memoria del popolo giapponese. I reattori 1, 2 e 3 della centrale nucleare di Fukushima, a 175 miglia a nord-est di Tokyo, riportarono dei gravissimi danneggiamenti, a seguito del sisma straordinario che colpì la zona. Considerando i vari incidenti susseguitisi, il disastro venne classificato al grado 7 – il più alto – della scala INES. Un’emergenza radioattiva ad oggi raggiunta solo dall’esplosione di Černobyl.
Località vicine come Namie, Tomioka, Okuma o Futaba vennero immediatamente evacuate, trasformandosi in città fantasma: scenari postumani, di abbandono e di scorie sotterranee, con case e negozi disabitati, e l’acqua, l’aria, la terra irrimediabilmente contaminate. Ancora oggi, dopo quasi tre anni, in quei luoghi dell’orrore non c’è anima viva, a parte qualche sporadico controllo militare o di polizia.
In coloro che a metà degli anni Ottanta erano abbastanza adulti da poter ricordare oggi la cappa di angoscia scaturita dal disastro ucraino, Fukushima ha risvegliato incubi lontani, tra immagini di cibi e oceani avvelenati: il ritorno di quella psicosi collettiva, che non risparmiò nessuno, in Europa, trent’anni fa.
È di queste ore un nuovo allarme, che sta impegnando il Governo giapponese e la la Tepco – Tokyo Electric Power Company, responsabile della manutenzione dell’impianto: inquietanti pennacchi di vapore radioattivo stanno fuoriuscendo dall’edificio del reattore 3, senza che una spiegazione chiara sia stata formulata. Diverse ipotesi sono al vaglio e tutte preoccupanti. Qualcosa non sta andando per il verso giusto, ma il livello di radiazioni mortali impedisce di operare un’ispezione approfondita. Zona off limits e il virus del contagio che riprende a scorrere, tra il dubbio e la paura.
Questo video animato, vincitore come Best Animated Film all’ultimo International Uranium Filmfestival di Rio de Janeiro nel 2013, è un pensiero poetico rivolto all’infanzia, vittima degli errori degli uomini, scontati con la solitudine e l’infelicità. I 36mila bambini evacuati dai villaggi e le città giapponesi mai dimenticheranno il trauma della fuga e la stretta del terrore, avendo perduto il diritto alla bellezza del paesaggio e alla gioia del contatto con la natura.
La piccola protagonista di Abita, film di Shoko Hara e Paul Brenner, si immerge in un microcosmo di colori e di immagini oniriche, trasponendo nei suoi disegni l’ancestrale desiderio di natura. Pensieri di libertà e di gioco, galleggiando tra tinte rosa pastello e impalpabili forme partorite dall’immaginazione. Poi, di colpo, l’atterraggio nella cruda realtà. Fuori dalla porta il bosco è un luogo tetro, in cui il sogno si popola di presenze minacciose e il cielo si fa nero, rotto da suoni sinistri e coperto di ombre. Spiccare il volo, di nuovo con la fantasia, è l’ultimo trucco per salvarsi. Purtroppo vano: saranno due braccia adulte a raccogliere la bimba e a prendersene cura. Una maschera sul viso e gli abiti radioattivi da isolare, come in un rito necessario.
Accolto con successo in moltissimi festival internazionali, tra l’Europa e l’America, Abita è atteso nel 2014 all’Eco-Filmtour di Potsdam e alla Galerie am Kocher di Künzelsau.
Helga Marsala
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