Brain Drain. Parola a Davide Quadrio
L’università prima a Venezia e poi a Trento. Con in mezzo la passione per i monasteri tibetani. Quindi il grande salto verso l’Asia, in Tailandia e successivamente in Cina. Dove Davide Quadrio ha fondato il collettivo BizArt e, nel 2007, Arthub Asia, di cui è direttore artistico.
Come sei arrivato in Cina?
Studiavo architettura a Ca’ Foscari. Mi sono appassionato di monasteri tibetani. Ho ottenuto una borsa di studio dal Governo cinese, che mi ha invitato a portare avanti i miei studi. Poi, attraverso l’Università di Trento, Dipartimento di sociologia, sono partito per Shanghai. Quest’anno sono ventidue anni che vivo in Asia (tre in Tailandia, il resto in Cina).
Come sei arrivato all’arte contemporanea?
Nel 2001 ho fondato il collettivo BizArt a Shanghai: unico occidentale fra cinesi. Siamo partiti come spazio indipendente non profit, dove si è esposta la nascente arte cinese contemporanea. Prima degli Anni Novanta non esisteva un fermento come quello al quale abbiamo assistito in seguito. BizArt è nato in un capannone industriale, per iniziativa del collettivo, che non ha chiesto molti permessi… A quel tempo non esisteva un sistema. Abbiamo sperimentato liberamente e dato priorità alla produzione di opere, non ad approcci curatoriali. Eravamo la realtà underground rispetto al mainstream istituzionale e siamo stati talent scout per molti artisti.
Cosa stai costruendo qui?
Ho lasciato BizArt nel 2007 per fondare Arthub Asia: volevo passare da una dimensione di ricerca a creare un network con il resto del mondo, dunque promuovere progetti di mobilità per curatori e artisti e collaborazioni internazionali. Nel 2009 a Bangkok un abbiamo realizzato un meeting performativo per quaranta artisti. Poi sono seguite residenze e mostre. Recentemente abbiamo incluso nel team di direzione Charles Esche, che è stato direttore del Van Abbemuseum a Eindhoven e ora curatore per la Biennale di San Paolo, annunciandolo con la presentazione del libro The Making of a Meeting, che racconta sette anni di attività di Arthub Asia. Siamo stati a Lecce con l’Associazione Ramdom, grazie al bando Creative Encounters della Fondazione ASEF. Siamo stati a Venezia, alla Fondazione Querini Stampalia, con la mostra L’unicorno e il dragone, con i lavori di Qiu Zhijie, in collaborazione con il prestigioso Museo Aurora di Shanghai, che sorge nella metropoli asiatica su disegno di Tadao Ando.
Cosa ti salta agli occhi quando torni in Italia?
L’Italia è immobile ed egocentrica. Non vuole conoscere quello che è fuori dai propri confini. In Europa è diverso. Negli ambienti anglossasoni sono più aperti verso l’Asia, anche perché è sottesa la sindrome del “sorpasso asiatico”. Musei come Maxxi, Macro, Mambo, Rivoli, o la stessa Querini, hanno enormi potenzialità sotto-utilizzate. La meritocrazia non esiste e si rimane assistenti e giovani fino a oltre quarant’anni… Le posizioni direttive sia in università che nei centri di produzione culturale non vengono ricambiate. C’è anche una certa paura di rischiare, che porta a fare scelte di comodo e dunque a non innovare mai. Portare un’istituzione come il Museo Aurora di Shanghai, che ospita collezioni asiatiche dal 4.000 a.C. di arti e manufatti, a dialogare con una fondazione a Venezia è un grande successo. Questo è il mio personale contributo per il Paese.
Quali sono gli organi a cui richiedere patrocini, supporti e sponsorizzazioni?
In Cina vige un regime ferreo. Ma se si lavora costruendo progetti chiari, dove si dimostra di valorizzare l’arte e la cultura cinesi, il Governo ti favorisce, riconoscendo il merito. Io ho ottenuto un permesso speciale come “esperto della materia” per conto dell’Università di Shanghai, dunque posso tenere conferenze in loro rappresentanza. In Italia non mi chiamano mai per tenere lecture.
Tornerai?
Per costruire nuove reti e realizzare progetti, certamente.
Neve Mazzoleni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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