Cinque volte Shanghai
Ai Giardini della Biennale abbiamo incontrato Massimo Torrigiani. Qui ha partecipato al progetto di Dora Garcia, “L’inadeguato”. Il nostro incontro a Venezia non è casuale, naturalmente. Massimo è spesso all’estero per lavoro ed è difficile trovarlo libero da impegni. Soprattutto dopo la sua nomina a direttore di SH Contemporary, la fiera d’arte contemporanea con sede a Shangai, che il 7 settembre inaugura la sua quinta edizione.
Da editore e creatore di riviste a direttore della quinta edizione di SH Contemporary. Che fiera intendi realizzare? Quali le novità rispetto alle edizioni precedenti?
Prima ancora di cominciare a lavorare al progetto, ho capito che sarebbe stato difficilissimo imporre un modello culturale estraneo a un sistema dell’arte, come quello della Cina continentale, che non ha niente di gerarchizzato e che cambia continuamente davanti ai tuoi occhi. Quindi la prima cosa che ho fatto è stata ascoltare i curatori, i galleristi, gli artisti, la gente delle industrie creative e dei media, per capire quali fossero le tendenze emergenti e le aspettative intorno a un progetto come il nostro. A Shangai e in Cina.
Cos’è emerso da questa indagine? Quali sono le peculiarità che caratterizzano Shanghai e la Cina?
La cosa più interessante di Shanghai è proprio il suo essere aperta all’innovazione e alle culture emergenti e, nell’arte contemporanea, disponibile all’ibridazione con altri mondi. Soprattutto in Asia, l’arte contemporanea è vissuta contestualmente e sincronicamente a tutte le altre espressioni culturali e creative. Per un giovane artista cinese, Prada, Francis Bacon, Giotto, i Manga e Damien Hirst sono sullo stesso piano. Oltretutto, la nuova cultura cinese – e stiamo parlando di vent’anni di storia – è tutta nativo-digitale: la sua nascita è contemporanea alla diffusione di Internet e del computer.
A proposito di apertura al nuovo, il programma della fiera prevede – per la prima volta – una sezione dedicata interamente all’arte emergente e alla fotografia.
Girando, mi sono reso conto che molte gallerie interessanti non avevano partecipato alle precedenti edizioni della fiera solo per questioni economiche. Questo perché c’era una barriera all’ingresso di 9mila euro, per uno stand minimo di 30 mq. Allora abbiamo deciso di offrire un numero limitato di stand, da 20 mq, a un costo di 5mila euro, per consentire alle gallerie con meno di cinque anni di vita, e che non avessero mai partecipato a SH Contemporary, di essere presenti in fiera. Siamo stati letteralmente inondati di richieste, molte più degli spazi disponibili. Stessa metratura e stessa offerta abbiamo proposto alle gallerie di fotografia.
Tra le novità di quest’anno, ci sarà una mostra di pittura a inchiostro?
In realtà sarà solo una piccolissima sezione. Secondo me, uno degli aspetti più interessanti dell’arte cinese e asiatica oggi è l’influenza della pittura a inchiostro e della calligrafia sulla pratica di tanti giovani artisti. Ma è una materia molto delicata. Ci sono dibattiti accesissimi sul rapporto tra innovazione e tradizione in quest’ambito, così ho pensato di dover essere cauto. Quest’anno avremo un piccolo spazio dedicato a questa tendenza, all’interno delle sezioni curatoriali della fiera. Nel 2012, invece, realizzeremo una vera e propria mostra.
Come si colloca SH Contemporary rispetto a Hong Kong International Art Fair? E cosa pensi dell’acquisto di ART HK da parte di Art Basel?
Il mercato e il sistema dell’arte asiatici sono così in crescita, imprevedibili e dinamici che si dovrebbe parlare di una costellazione di sistemi dell’arte più che di un unico sistema. Abbiamo Cina, Giappone, Taiwan, Indonesia, India, Filippine… In un mondo così, credo ci sia bisogno di sviluppare piattaforme diverse. L’acquisto della fiera di Hong Kong da parte di Art Basel è un segno della dinamicità e della crescita del mercato, ed è un fatto positivo anche per noi. Detto questo, sono due modelli di fiera radicalmente diversi. Loro hanno trattato l’Asia essenzialmente come un mercato, organizzando una fiera in cui le gallerie internazionali propongono i loro artisti ai collezionisti asiatici. Dal mio punto di vista, considero la Cina e l’Asia prima di tutto come produttori d’arte, e poi anche consumatori. Per cui non vedo competizione, ma colgo solo la positività di un’interazione.
Ci sono anche le due fiere di Pechino…
Sì, che sono in competizione tra loro. Le date sono molto ravvicinate, un paio di settimane di distanza l’una dall’altra, per cui non riescono a fare sistema e, credo, si indeboliscano reciprocamente.
Come ti poni nei confronti della precedente gestione?
Da quando ho ricevuto l’incarico da Bologna Fiere, abbiamo completamente smontato la fiera, per poi rimontarla, pezzo dopo pezzo. In questo processo è stato fondamentale il rapporto con alcuni consiglieri, come l’artista e curatore Thou Tiehai, e il coinvolgimento di Arthub Asia, un collettivo di curatori e critici basato in Asia e composto da Davide Quadrio, Defne Ayas e Qiu Zhijie. Il loro ruolo è stato fondamentale, anche perché non operano soltanto in Cina, ma in tutta l’Asia-Pacifico.
Stando all’ultimo rapporto annuale di Artprice, nel 2010 la Cina ha raggiunto il primato assoluto delle entrate provenienti dalle battute d’asta di arte moderna e contemporanea, superando definitivamente Usa e Regno Unito. Una buona base su cui lavorare…
È un segno di crescita che porta attenzione, fiducia ed entusiasmo verso la Cina e l’Asia. Ma queste macro-figure vanno analizzate nel dettaglio per capire chi e cosa compra in Cina. È un mercato ricco e ricettivo, ma difficile da decodificare. Il nostro lavoro ci porta ad analizzarlo per creare una fiera che tenga conto dei suoi movimenti attuali ma che, allo stesso tempo, sia in grado di anticiparne le tendenze.
Anna Saba Didonato
Shanghai // 7-10 settembre 2011
SH Contemporary 2011
www.shcontemporary.info
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