Martin Creed, minimale e radicale. In mostra alla Hayward Gallery
Adrian Searle visita la mostra londinese di Martin Creed, insieme all'artista. Un excursus di una carriera lunga e brillante, tra opere piccole o monumentali, sempre orientate al senso dell'ironia, al gusto della sorpresa e alla passione per i sottili capovolgimenti
Quando il concettuale si fa ironico, impertinente, ludico, seducente e provocatorio. Quando cadono inibizioni, categorie, significati manifesti e direzioni rassicuranti. E quando, tuttavia, alla sorpresa non corrispondono nè lo shock, nè lo sgomento, ma una certa leggerezza ambigua, una condizione emotiva irrisolta, tanto lieta quando inquieta. In altre parole: Martin Creed.
Da circa vent’anni sulla scena, Creed è uno dei baronetti dell’arte britannica a cavallo tra i due millenni: già nel 2001 vinceva il Turner Prize, conquistandosi un posto d’onore nell’Olimpo dei mid career internazionali più quotati, continuando a tessere le maglie di una carriera priva di tentennamenti e battute d’arresto.
Oggi, a 46 anni, Creed viene celebrato da una grande mostra alla londinese Hayward Gallery – What’s the point of it? – una retrospettiva che raduna una buona quantità di suoi progetti, tra i più noti, curiosi, sorprendenti, capaci di raccontare specificità ed evoluzioni di una ricerca figlia di questo tempo – nelle maniere, nei codici, nelle attitudini – e insieme dotata di una cifra personale, riconoscibile.
C’è il volume di palloncini bianchi in cui inabissarsi, facendosi largo e provando a respirare, tra regressione infantile e claustrofobia incipiente; c’è la monumentale scritta a neon “Mothers”, scultura pubblica roteante, tanto incombente quanto celebrativa: un monumento con vocazione classica, che annienta ogni residuo di dolcezza implicito nel nome e nell’idea. E ancora c’è la Ford berlina, parcheggiata in terrazza, che all’improvviso prende vita: le porte si aprono, il motore s’accende, il clacson iniziana suonare. E l’ignaro visitatore non si risparmia un balzo per aria: manco fosse un mix tra una candid camera, un racconto horror-cyberpunk e una puntata di Supercar. E ci sono, immancabili, i suoi metronomi modificati, strumenti per una scansione del tempo scoordinata e irrazionale. E poi erezioni immortalate da una camera fissa, falliche file di cactus disposte in armoniche sequenze geometriche, piramidi di carta igienica e tutta una serie di invenzioni da indomito bricoleur con la passione per gli oggetti comuni e le grammatiche nascoste del quotidiano. Radicale e minimale, sempre.
In questo video Martin Creed porta in visita alla Hayward Gallery Adrian Searle, critico d’arte del Guardian. Una preview speciale, appena prima dell’opening. Da sbriciare, nell’attesa di fare un salto a Southbank. Fino al 27 aprile 2014.
Helga Marsala
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