Cosa ti ha portato in Canada?
Mi sono trasferita nel 2000, due anni dopo essere tornata da una residenza post-laurea di un anno negli Stati Uniti. Non vedendo la possibilità di lavorare nel mio campo, ho deciso di fare domanda per un master in Storia dell’Arte e Studi Visivi e Curatoriali. Ho poi ricevuto una borsa di studio per proseguire i miei studi con un dottorato in Comunicazione e Studi Culturali nella stessa istituzione, la York University.
Occupandomi della relazione tra arte e scienza e di tecnologie emergenti, area di studio ancora considerata di nicchia in Italia, sono partita per un desiderio di crescita professionale. Al momento sono impiegata come lecturer alla York University e come consulente artistico e curatore del festival Subtle Technologies. Sono co-fondatore e programmatore di una serie di eventi a cadenza mensile intitolato ArtSci Salon e della serie Laser-Toronto, legata al network di Leonardo (di base negli States). Non sarei riuscita a costruire quello che ho costruito restando in Italia: al tempo non avevo alcuna risorsa né a livello accademico, né finanziario. Quindi sono partita.
Quali agevolazioni per la tua professione sono attive in Canada?
In Canada, nonostante la carenza di sostegno economico (gli studenti internazionali non hanno accesso ad alcuna borsa di studio a livello federale), sapevo che sarei riuscita a sopravvivere e quindi a ottenere entrambi i titoli di professore e artista. All’università ho insegnato in vari corsi e per i primi quattro anni mi sono arrangiata con lavoretti come traduzioni, web design, lavoro nella libreria universitaria e piccole borse di studio esterne per progetti vari, che aiutavano, anche se poco. Ora sono in una posizione migliore: il mio lavoro come professore aggiunto mi rende finanziariamente indipendente, nonostante debba fare domanda ogni anno per avere il rinnovo del contratto. Il governo federale mette in palio fondi di ricerca e artistici competitivi a cui posso avere accesso previa proposta formale. La stessa cosa vale per il governo provinciale (la regione) e la città di Toronto, dove risiedo. I fondi non sono molti e negli ultimi anni sono stati ridotti radicalmente per via della crisi, ma siamo ad anni luce dalla situazione italiana.
Il fatto di essere cittadina europea è certamente un vantaggio: la maggior parte delle borse di ricerca (fondi del British Council e della British Academy) le ho ricevute dal Regno Unito.
La cosa positiva di essere affiliata con la York University è che è probabilmente l’unica università che distribuisce fondi di viaggio per la crescita professionale. Grazie a questi ho la possibilità di partecipare a festival e conferenze in giro per il mondo: ho presentato il mio lavoro in Brasile, nei Paesi Baltici, a Singapore e diversi Paesi Europei.
Quali i luoghi della cultura a Toronto? Dove aggiornarsi?
Qui a Toronto, in generale, sono coinvolta con il network delle gallerie indipendenti e degli artist-run centre, un circuito di gallerie e centri culturali unico, che lavora sulla cultura underground e alternativa. In particolare, ho lavorato molto con la comunità artistica latina (soprattutto messicana e colombiana) di E-Fagia, che adoro per il contenuto politico del loro lavoro e il senso di comunità che sanno evocare. Ho pochi contatti con le istituzioni ufficiali, e, francamente, cerco di evitarle perché sono piuttosto conservatrici e completamente apolitiche. Sono anche coinvolta con la cultura DIY, che qui a Toronto è abbastanza insulare e si divide tra laboratori universitari come il Semaphore lab (alla University of Toronto) e il Digital Media Transmedia (a York), a centri nascosti ma ben conosciuti delle maker communities come Hacklab, Site 3, DIYBio.
Nell’ambito arte/scienza, ho lavorato fin dal 2001 con il Subtle Technologies Festival. ST è un evento unico nel suo genere, che però avviene una volta l’anno: per questo motivo ho unito le forze con un professore di fisica dell’Università di Toronto (Stephen Morris) e con il direttore artistico di ST (Jim Ruxton) e abbiamo creato l’ArtSci Salon, una specie di mini ST mensile che ospitiamo al Fields Institute (l’istituto per le scienze matematiche) all’Università di Toronto. Il network si sta ingrandendo a macchia d’olio, incorporando rappresentanti dei centri e laboratori che ho citato sopra e iniziando collaborazioni con altre città in Canada (Ottawa e Montréal) e gli States (Buffalo e il Laser Network).
Quali consigli per i tuoi colleghi rimasti in Italia? Mantieni contatti con loro?
Chiaramente la situazione non è sempre rose e viole e si lavora un sacco per fare piccoli passi, ma – come diceva Galileo – “eppur si muove“. È esattamente l’opposto di quel che vedo in Italia. Ammiro lo spirito di iniziativa e il coraggio di colleghi e amici in Italia, ma la scena è talmente frammentata e le politiche dei governanti talmente provinciali e limitate che mi sembra che i loro sforzi spesso vadano a vuoto. Ovviamente, con la carenza di risorse si intensificano le rivalità tra gruppi, che invece potrebbero unire le forze e creare progetti più comprensivi.
Continuo a essere in contatto con i circuiti italiani e ho avuto la possibilità di ospitare curatori e artisti qui a Toronto, e continuo a proporre i loro lavori a festival e eventi, perché li trovo intelligenti, interessanti e di qualità sia a livello contenutistico che a livello formale. Insomma, vale la pena farli conoscere qui in Canada. Mi piacerebbe vedere un circuito un po’ meno frammentato: forse un maggior sforzo in direzione collaborativa e di condivisione delle risorse potrebbe renderlo più visibile e più compatto.
Come vedi l’Italia da Toronto?
Mi viene la pelle d’oca ogni volta che torno in Italia: è profondamente razzista e sessista. Lo so che le politiche culturali sono state praticamente assenti negli ultimi vent’anni o più, ma questo aspetto mi spaventa moltissimo. Finché non ci si lavora su, non c’è speranza. I gruppi che conosco funzionano ancora tra “italiani”, nonostante l’esistenza di una popolazione che conta già italiani di prima e seconda generazione e che diventa ogni giorno più varia e diversa. Un aspetto, questo, che è invisibile nell’ambito dell’arte. Spero vivamente che la situazione cambi.
Neve Mazzoleni
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