Peso e natura in Giappone
Nel 1995 il terremoto di Kobe orienta il Giappone a una differente idea di sviluppo, rivelata dal dibattito sullo spostamento della capitale da Tokyo a Gifu. Da una megalopoli a un piccolo centro. Un evento che fa da sfondo all’apparizione di “un tipo nuovo di architetto”.
È Toyo Ito a definire così Kazuyo Sejima, la musa dei suoi Dwellings for a Tokyo Nomad Woman, quando allestirà una reazione estetica al terremoto nel padiglione giapponese alla Biennale di Venezia del 2000, ospitando i lavori di Kosuke Tsumura, Hellen van Meene, Yayoi Deki.
Tsumura disegna abiti-guscio, avvertendo la necessità di riduzione dell’esistenza ai soli ambienti rassicuranti, espressa da più di un milione di hikikomori che vivono autoisolandosi per lunghi periodi e lavorando su un tema di fondo del post-Kobe, quello della sopravvivenza legata al rapporto con la natura. Hellen van Meene e Yayoi Deki guardano alle adolescenti cariche di bigiotteria che, indicando un nuovo oggetto del desiderio, ridacchiano la parola ‘kawaiii!’. Un gesto superficiale ma collegato con una capacità velocissima di identificare la bellezza.
Facile concentrarsi sulla magrezza della recente architettura giapponese ed essere cinici verso processi di assunzione di responsabilità, soprattutto in Italia, dove la reazione alla distruzione naturale e poi amministrativa de L’Aquila nel 2009 è stata quella ridicola di una temporanea indignazione collettiva. Stabilire un’armonia col pianeta non consolata da termini come sostenibilità-km0-consumo di suolo, ma che operi attraverso tattiche originali, è un obiettivo sul quale in Italia si esercita una grassa ironia. Sejima è indifferente alle questioni di peso. Direttrice della Biennale di Venezia nel 2010, selezionando la quota italiana sceglie Luisa Lambri e Lina Bo Bardi, due immaginari luminosi ma supportati da una certa concretezza.
Nel 2012 il padiglione giapponese ospita un’altra reazione post-catastrofe (terremoto e tsunami di Sendai) quando molti dei progettisti in mostra erano nel frattempo passati per SANAA. Queste Relations – titolo del libro di Florian Idenburg sui rapporti tra Sejima e altre generazioni di architetti – indicano come il modo esile di Sejima non sia un apparato formale scontato, quanto una intuitiva interpretazione della contemporaneità. La versione affinata del kawaiii!
Se pure Ishigami vince un Leone d’oro con un progetto aereo che nessuno vede perché distrutto nottetempo da un gatto, Fujimoto, Hogan, Elding Oscarson, Idenburg declinano la loro esperienza presso SANAA in modo differente. Proprio Idenburg lo precisa rispondendomi nel 2010 per Klat Magazine: “I grew up in Calvinistic Holland, I think we need to leave the world in a better state then we find it. In that sense I am moralistic, and I see some sort of soft moralism in the work of SANAA. Why I was interested in the work was it’s incredible sense of positivity. For me this was a breath of fresh air after an era of Koolhaasian cynicism, and relativism. I do not think we can continue this project in a similar way, as it I am not a Japanese woman, but a dutch guy”.
Luca Diffuse
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17
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