Collezione Sozzani. Quando i banchieri erano mecenati
Antonio Sozzani, influente banchiere milanese deceduto nel 2007, ha lasciato la sua preziosa collezione di disegni al Museo Diocesano di Milano. Dopo anni di studi e restauri, la collezione entra nel percorso permanente del museo. Qui trovate tutta la storia, con una videointervista a Paolo Biscottini, il direttore del MuDi.
Oggi, a torto o a ragione, siamo abituati a pensare ai banchieri come eminenze grigie, sanguisughe degli investimenti privati, speculatori incalliti che hanno fatto sprofondare nel baratro della crisi dei subprime gli Stati Uniti e, a ruota, il mondo intero.
Eppure c’è stato un tempo in cui i banchieri sapevano essere degli umanisti. Grandi mecenati che finanziavano le arti e la cultura e spesso, alla loro morte, donavano a musei o fondazioni grandi collezioni d’arte, perché il pubblico potesse goderne giorno per giorno. Che poi, spesso, la miopia dell’amministrazione pubblica abbia impedito che queste collezioni venissero esposte o valorizzate a dovere, è un’altra storia.
Antonio Sozzani era un milanese operoso, nato al termine della Grande Guerra, amico di Raffaele Mattioli, “il banchiere umanista” per antonomasia, di Gae Aulenti, dell’Avvocato. Alla morte del padre trovò una cartelletta con dentro alcuni disegni. Li fece vedere a Giovanni Testori, amico di una vita, che gli consigliò di continuare la collezione e si rese disponibile ad aiutarlo nell’impresa.
Collezionare disegni è molto diverso da collezionare dipinti: le attribuzioni sono spesso molto più incerte, il mercato più difficile, il materiale più deperibile. Ma soprattutto collezionare disegni significa collezionare non un’opera compiuta, ma un lavoro, un pezzo di creazione in fieri, un’intuizione, un progetto, un travaglio. L’idea di un artista-lavoratore che ne sprigiona, così anticrociana, doveva sposarsi bene con la mentalità di questo industrioso banchiere milanese. Così, a casa sua, vicino alla Cena in Emmaus di Tiziano, iniziarono ad essere appesi qua e là molti disegni che la passione, lo studio o la ricerca attribuivano, volta a volta, a Géricault, Carracci, Pissarro, Piazzetta, Courbet, Gauguin, Corot, Renoir, Bernini, Zuccari, o che rimanevano avvolti nella bellezza di un misterioso anonimato.
Ora, secondo le sue volontà, le opere, tutte restaurate, hanno trovato una nuova casa. Guadagnato uno spazio in una grande sala attigua a quella dei Fondi Oro della collezione dell’amico Alberto Crespi, iniziano a intessere dialoghi nuovi sia tra loro che con le altre opere del museo. Ci guida attraverso questa complicata rete di nomi e studi un ottimo catalogo (edito da Sassi) che, con tutte le difficoltà del caso, si pone solo come un primo passo nella conoscenza di questi disegni.
Per ora, tra le luci soffuse della sala al secondo piano del museo, impariamo a conoscere chi ha osato possedere la Bellezza: una bellezza sincera, discreta e silenziosa, come la borghesia milanese dei tempi che furono.
Giulio Dalvit
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