A Montecarlo è la Primavera delle Arti. Intervista con Marc Monnet
Marc Monnet, da dieci anni alla guida del Printemps des Arts di Montecarlo, festival che coniuga la musica con le arti visive, conosce bene l’Italia. È stato pensionnaire dell’Accademia di Francia a Roma, come Berlioz un tempo e oggi Durupt. E anche se allora era uno studente, ha creato quelle settimane di musica contemporanea di Villa Medici che possono essere considerate come il precursore del festival Controtempo. Lo abbiamo incontrato prima dell’inaugurazione della 30esima edizione della manifestazione monegasca.
Quali sono le caratteristiche che lei, compositore e organizzatore musicale, ha inteso imprimere alla manifestazione?
Parto da una constatazione: in una vasta regione che si estende da Marsiglia alla Liguria, la musica sinfonica e cameristica è in gran misura ancorata al periodo che va del Settecento al Novecento “storico” ed il pubblico ignora tanto il Medioevo e il Rinascimento quanto la scrittura musicale contemporanea. Anche della sinfonica e della cameristica, poi, vengono eseguite quasi sempre gli stessi lavori di un piccolo gruppo di compositori. E, nonostante si sia in una regione che ha ispirato artisti di varie forme di espressione, si ignora il nesso tra pentagramma, visivo, arti plastiche e ora arte in video. Il Printemps des Arts ha, da trent’anni, la missione di colmare questo vuoto.
Come?
In primo luogo, con un’organizzazione che consente di ampliare il bacino d’utenza. Iniziato come una manifestazione di due settimane con concerti tutte le sere, ora si articola su cinque settimane (dal giovedì sera alla domenica nel tardo pomeriggio) in modo da favorire l’afflusso di pubblico dal resto della Francia, dal Nord Italia, dalla Gran Bretagna, dalla Germania e dalla Spagna. In secondo luogo, con temi precisi per ciascun festival dedicati a “ritratti” di grandi compositori noti in cui si pone l’accento sui loro lavori meno eseguiti. In terzo luogo, aprendo sempre più alla musica contemporanea e al rapporto con le altre arti. In parallelo a questa edizione del festival, si svolge a Villa Paloma una mostra del visivo contemporaneo americano.
Ci può fare alcuni esempi?
Questa edizione del trentennale del festival è dedicata principalmente a due compositori noti (anzi, uno dei due è tra i più eseguiti): Haydn e Skrjabin. Ovviamente non basterebbero quindici festival monografici per dare conto del significato di Haydn. Abbiamo scelto la sua produzione meno nota: ad esempio, delle sue tre opere per teatro di marionette, metteremo in scena Philémon et Baucis, l’unica di cui esiste un’edizione critica integrale, in un allestimento curato da Fabio Biondi e dal complesso L’Europa Galante con le marionette dei Fratelli Colla.
Di Skrjabin presenteremo, accanto alla monumentale seconda sinfonia nella serata inaugurale, molti lavori brevi (dai due ai dieci minuti) scritti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento con i quali, lasciato il percorso post-romantico, si apre la strada alla “rivoluzione” del Novecento storico, al cromatismo che porta alla dodecafonia, nonché il “poema di fuoco” che – composto tra il 1905 ed il 1908 – già allora richiedeva l’apporto del visivo (giochi di luci).
E la musica più esplicitamente contemporanea?
Per questa trentesima edizione abbiamo commissionato nuove composizioni – ciascuna di tre minuti – a tredici giovani compositori. Abbiamo, poi, sessioni dedicate interamente alla musica contemporanea. Ad esempio, una “notte ungherese” in cui il compositore e direttore d’orchestra Peter Eötvös dirige l’orchestra filarmonica di Montecarlo in un programma che include, oltre a suoi lavori, un’antologia di opere di Ligeti, Kurtág e Kodáli. Non mancano, poi, lavori di Jodlowski, Stockhausen e Sciarrino. Il nostro obiettivo è sempre quello di avvicinare le orecchio di un pubblico abituato al repertorio tradizionale a nuove sonorità.
Anche quelle non europee?
Certamente. L’anno scorso abbiamo portato in Europa la musica e il teatro dell’Impero Kmehr. Quest’anno un fine settimana è dedicato alla musica giapponese: da quella rituale degli antichi conventi a quella contemporanea (Osokawa) a quella più recente (Kohshou) coniugata con la fisicità del visivo. L’ultima giornata del festival riguarderà la musica marocchina, da quella berbera che dalle 11 del mattino sarà in piazze, strade e musei, a quella contemporanea di Ahmed Essayd, che verrà invece presentata nel grande auditorium Rainieri III.
Giuseppe Pennisi
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