Milton Glaser e Steven Heller bocciano il nuovo logo di Firenze. Ecco la videointervista di Artribune al celebre creatore di I❤NY
Che fosse stato concettualmente mal ideato il bando dello scorso anno per la creazione del brand di Firenze, Milton Glaser già ce lo aveva detto all’epoca, quando nessun vincitore era ancora stato proclamato, anzi, per l’esattezza nemmeno la giuria era stata ancora proclamata. In realtà, consapevole di questo, lui aveva già paventato un risultato mediocre. […]
Che fosse stato concettualmente mal ideato il bando dello scorso anno per la creazione del brand di Firenze, Milton Glaser già ce lo aveva detto all’epoca, quando nessun vincitore era ancora stato proclamato, anzi, per l’esattezza nemmeno la giuria era stata ancora proclamata. In realtà, consapevole di questo, lui aveva già paventato un risultato mediocre. E dopo qualche mese (necessario per visionare i 5mila progetti sottoposti sulla piattaforma online Zooppa), il verdetto finale ha infatti lasciato gran parte dell’opinione pubblica insoddisfatta. Di recente anche il vice sindaco di Firenze Dario Nardella si è pronunciato dicendo che il simbolo scelto non lo faceva impazzire, e che comunque nessuno avrebbe toccato il celebre giglio. Nel frattempo, l’opinione di Milton Glaser ha rasserenato tutti gli addetti al settore che avevano fatto le proprie sane e motivate critiche all’operazione lanciata a luglio e conclusasi ad ottobre.
I❤NY era stato il modello a cui il bando si era appellato come principio ispiratore, ma il creatore del celeberrimo logo della Grande Mela commenta cosi: “La prima domanda che occorre fare è: quale è il fine per l’identità di una città. Il fine è elevare la città nella coscienza delle persone in una maniera che sia memorabile, in modo tale che la prossima volta che vedranno questa rappresentazione, la ricorderanno. Purtroppo quello che è stato fatto è perfettamente dimenticabile, infatti dopo che l’hai visto non te lo ricordi più. Non è un marchio, è uno piccolo poema, e come tale dovrebbe essere una antologia di poesia, che va bene, ma come marchio che rappresenta la città e totalmente inadeguato. In aggiunta, quello che vuoi che accada quando guardi ad una identity è avere affezione per un’istituzione, il più importante compito per un trade mark, è far sentire lo spettatore affezionato a cosa si rappresenta. Qui non puoi avere nessuna affezione, perchè non sai cosa vuole dire. Inoltre, è copiato da un preesistente marchio di un’altro luogo. La combinazione non solo è inadeguata, e non serve i suoi fini, ma è anche un plagio… Si sta parlando di una delle più grandi città, istituzioni, simboli nel mondo, non si sta parlando del New Jersey, si parla di Firenze! E Firenze deve essere espressa in un modo che esprima la propria importanza nella storia della civilizzazione, mentre qua tutto quello che abbiamo è un lavoro che banalizza la città, che la rende meno importante di quello che è, e la fa sembrare come una qualsiasi altra piccola città che aspiri ad essere significativa. La cosa è stata diretta cosí male che è impossibile capire come si sia arrivati a questo punto. Ma si sapeva fin dall’inizio, quando hai mille idee, non ci sono possibilità che la migliore venga selezionata. Non puoi selezionare il migliore tra mille di nulla!“.
A pronunciarsi sulla questione, oltreoceano ci ha pensato anche il grande Steven Heller, con un post ben articolato sull’Atlantic, citando le opinioni di Glaser espresse nell’intervista realizzata lo scorso anno con lui. Per adesso si attendono sviluppi e prese di posizione da parte della nuova amministrazione cittadina (le elezioni infatti si terranno a maggio), intanto occorre sperare che chi di dovere tenga di conto sia l’opinione pubblica (ben schierata in rete), che l’opinione degli esperti di comunicazione che hanno chiaramente e ripetutamente espresso il proprio parere e che hanno tentato di dialogare con le istituzioni prima che si ottenesse questo esito assai discutibile (in primo luogo perchè la somiglianza con il logo di Praga ha dato da pensare a tutti, e poi perchè la cosiddetta democraticità del sistema adottato ha invece finito per favorire chi conosceva le dinamiche e i desideri delle istituzioni coinvolte nelle decisioni). Occorre insomma indagare sulle responsabilità delle scelte operate, cosa ne pensa ad esempio l’ex sindaco ed ormai primo ministro?
– Diana Di Nuzzo
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