(Re)collected in tranquillity. Lo Yorkshire Sculpture Park

Andate cercando un’alternativa a white e black cube? Bastano delle scarpe adatte alla campagna e la curiosità dell’esploratore: nello Yorkshire, a due ore di treno da Londra, l’arte moderna e contemporanea la si incontra sull’erba sempreverde del nord inglese. Uno dei primi parchi d’arte in Europa del Novecento, primo esempio in Regno Unito, più volte eletto migliore attrazione della regione, lo Yorkshire Sculpture Park sfida le categorie di galleria, spazio pubblico e area naturale. Per conoscerne le strategie abbiamo intervistato il responsabile del programma espositivo, Clare Lilley.

Clare, l’attività espositiva del parco è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. Dalla prima mostra nel 1977 fino agli Anni Novanta, con una media inferiore a un’esposizione all’anno, nel 2013 è stato possibile partecipare a ventitré eventi. Di pari passo sono cresciuti premi e riconoscimenti. Potresti raccontarci del vostro lavoro, ma anche delle difficoltà nel creare uno spazio per l’arte pionieristico come questo?
La tua osservazione è interessante, dal momento che in realtà il parco è appunto attivo dal ’77.  Ma hai ragione, l’attività è cresciuta in modo piuttosto notevole negli ultimi anni. È difficile ricevere attenzione e riconoscimento per mostre in esterni, specie rispetto alle mostre in galleria, ma credo che oggi ci sia una sensibilità diversa. Gli eventi che abbiamo curato in questo senso sono stati in un certo modo straordinari: penso alle mostre di Eduardo Chillida e Marino Marini. Ma è dal 2005, quando abbiamo aperto la Underground Gallery, con William Turnbull e James Turrell, che abbiamo veramente potuto in un certo modo galvanizzare la nostra attività. Negli ultimi tempi abbiamo sviluppato progetti più delicati nella cappella, con James Lee Byars e Shirin Neshat. Esponiamo inoltre nella Longside Gallery, un tempo scuola di equitazione, e nella Boathouse, piccola galleria e studio per gli artisti ospiti.
Offriamo agli artisti l’ex scuola di scultura della University of Leeds: laboratori per il getto e la lavorazione di ceramica e legno, fonderie, strumenti per la saldatura. Abbiamo inoltre un learning programme con 45mila giovani all’anno, dai bambini in tenera età fino a ricercatori postlaurea, e un fitto programma di live art, più effimero ma continuo. Allo stesso tempo, progetti ad hoc per adulti con demenza, persone in convalescenza, in terapia da tossicodipendenze; altri per esuli e migranti in cerca d’asilo, in relazione alla vicina Wakefield, che ha una grande popolazione di rifugiati.

Clare Lilley, direttore del programma espositivo, YSP. Courtesy Yorskhire Sculpture Park

Clare Lilley, direttore del programma espositivo, YSP. Courtesy Yorkshire Sculpture Park

Come si struttura la vostra collezione, specie rispetto alle mostre temporanee?
La collezione permanente ha davvero pochi pezzi. La mostra all’aperto, da sempre per lo più temporanea, cambia di pari passo alle mostre in galleria, anche con opere degli artisti ospiti. È fantastico lavorare con artisti internazionali, ma occorrono le condizioni ideali per comunicare efficacemente la loro ricerca; se sentiamo di non averle create, la messa in mostra delle opere qui prodotte non è una priorità. Ciò che importa è la loro esperienza qui, che può arricchire la loro pratica. Questo è un posto curioso, strano per certi versi: c’è una sorta di scambio tra artisti e visitatori, e ci sono diverse conseguenze rispetto a questo contatto. Lo Skyspace di Turrell attira visitatori da tutto il mondo, ma non solo. Di recente ho notato una coppia di settanta, ottant’anni, sono quasi certa che lui sia un fattore della zona. Vengono a sedersi lì quasi ogni settimana. È Il ‘loro’ posto speciale. Si è costruita una sorta di comunità attorno allo Skypsace, che è diventato un microcosmo dei duecento ettari del parco settecentesco. Un luogo particolare anche per Turrell, adora il clima marino inglese.

Qual è il vostro approccio rispetto al paesaggio? Come credi si relazioni alla scultura?
La bellezza della scultura all’aperto è il suo costante cambiamento: il cielo qui muta tre o quattro volte, così l’opera. La luce, le gocce di pioggia, la brina. E, specie i bambini, possono toccare un’opera di Henry Moore, correrci attorno, abbracciarla; periamo soltanto che non ci saltino sopra!, ma la possono sentire fisicamente. Occorre inoltre l’energia, lo sforzo fisico per camminare attraverso il paesaggio. Ma a un certo punto ottieni qualcosa, quella sorta di euforia per la scoperta dell’opera – quello che speriamo succeda! -, anche se, certo, è possibile che ciò non avvenga. Alcuni visitatori sottolineano il fatto che non abbiamo molti sentieri, ma noi vogliamo che si possa andare semplicemente all’avventura. Ci si trova con la necessità di misurarsi con l’ambiente, uno spazio privato, blindato per migliaia di anni. Una sorta di oasi nel cuore del passato industriale dell’area. Negli ultimi quindici anni abbiamo rimesso insieme la tenuta, gradualmente, con acquisti, donazioni, prestiti, affitti. Abbiamo aperto i laghi diciotto mesi fa, ed è tutto così splendido là fuori. Semplicemente splendido.

Anthony Caro, Promenade, 1996. Foto di Jonty Wilde, courtesy Yorskhire Sculpture Park

Anthony Caro, Promenade, 1996. Foto di Jonty Wilde, courtesy Yorkshire Sculpture Park

Oltre all’aspetto “performativo” della fruizione da parte del pubblico, che posto c’è per la performance come forma artistica nel vostro programma?
La performance è così importante ed entusiasmante: il modo in cui gli artisti rispondono fisicamente al luogo. E a volte lo fanno in modo quasi cinico, scettico. Florence Peake, principalmente interessata alla danza, era colpita, divertita dalla cura che riponiamo nella pulizia delle sculture. È stato il punto di partenza per delle performance con dei giovani ballerini della zona, in cui al termine l’artista mimava una sorta di pulitura delle opere. In realtà ci modellava sopra del gesso, e quando il gesso viene lavorato diventa via via più solido. Al termine ha assemblato il materiale in un’enorme scultura. Da uno scetticismo iniziale a una creatività incredibile.

Avete anche altri inquilini oltre alle sculture? Penso ai bovini di razza highland che pascolano liberi nel parco.
Gli highlander, sì, una razza bovina particolare: brucano gli arbusti ma risparmiano le orchidee e altri fiori selvatici più bassi, la ragione per cui sono qui. Sono un tipo di fauna conservativa.

Penso alle fiere d’arte e alla loro posizione nell’influenzare le scelte espositive contemporanee, anche in relazione al tuo ruolo di curatrice del Frieze Sculpture Park, nelle ultime due edizioni di Frieze Art Fair di Londra. Qual è la connessione tra il mercato dell’arte e la vostra attività espositiva?
La riflessione attorno alle fiere d’arte è interessante, anche riguardo all’evoluzione del mercato. Se si cerca di lavorare con artisti famosi, le gallerie e la risposta dei media sono importanti. Ma quello che cerchiamo di fare è seguire quello che sentiamo, il più possibile. Penso al progetto con Ursula Von Rydingsvard, molto nota in America, ma non in questo paese. Proporre la sua mostra con lei è stata un rischio, ma abbiamo creduto al risultato e alla ricezione del pubblico. E spesso vuoi lavorare a tutti i costi con degli artisti, ma loro non sono interessati a lavorare con te – è un’esperienza dolorosa! Ma il parco genera una tale creatività e un tale scambio fra l’artista, il pubblico e noi, che ci si diverte. Ed è come se avessimo appena iniziato, i nostri progetti per il futuro sono strabilianti. Non corrispondo alla grandezza delle sculture, ma alle possibilità illimitate, risorse permettendo. Perché non c’è mai fine a quello che si può immaginare di realizzare.

Elio Ticca     

www.ysp.co.uk

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Elio Ticca

Elio Ticca

Nato a Nuoro nel 1988, si laurea allo IUAV di Venezia in arti visive e dello spettacolo. È in partenza per il Regno Unito per approfondire i propri studi in storia dell'arte alla University of Leeds, attratto dalle connessioni fra…

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