Dialoghi di Estetica. Parola a Fabrizio Desideri
Filosofo, Fabrizio Desideri è professore ordinario di Estetica all’Università di Firenze, membro del Consiglio di Presidenza della Società Italiana d’Estetica (SIE) e direttore della rivista on line “Aisthesis. Pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico”. L’orizzonte delle attuali ricerche condotte in estetica, il rapporto con gli studi sulla mente e le implicazioni meta-estetiche sono i temi affrontati in questo dialogo con Davide Dal Sasso.
Attraversando un ampio spettro di investigazioni filosofiche – dalle ricerche su Benjamin, Adorno e Kant a quelle su Celan e Valéry – nei tuoi ultimi libri proponi di riconcepire l’estetica riconoscendo il suo stretto legame con lo studio della mente. Che sembianze assume la disciplina alla luce di questa direzione delle ricerche?
Le sembianze di una disciplina ‘difficile’, il cui focus tematico è costituito dalla qualità dell’aisthesis. Una disciplina essenziale al costituirsi stesso del discorso filosofico e, pertanto, in costante dialogo con tutte quelle ricerche di tipo neuroscientifico e psicobiologico che indagano le dinamiche della vita percettiva e il funzionamento del cervello in rapporto alla nostra vita mentale. Solo misurandosi con queste prospettive e con le soluzioni che configurano – anche polemicamente, s’intende – l’estetica può dirsi adeguata alle sfide del presente. Se accogliamo la suggestione di Benjamin che “estetica” significa essenzialmente una “dottrina della percezione”, questo passaggio non può essere trascurato. Solo così possiamo intendere l’estetico nel suo originarsi da processi percettivi di base quali quelli legati ai processi attenzionali e alle risonanze emotive delle sensazioni. Ricordando il Valéry dei Cahiers si tratta, in altri termini, di capire come da piccole differenze in ambito psico-sensoriale derivino, asimmetricamente, grandi conseguenze capaci di modellare il profilo della nostra identità.
Le tue riflessioni sul ruolo della coscienza e sul rilievo della posizione mediana dell’estetica tra relazioni percettive e condotte pratiche, ti hanno indirizzato a esplorare problemi aderenti alla meta-estetica. Come si caratterizza quest’ultima disciplina e in che direzione vanno le ricerche a essa pertinenti?
Più che assegnare alla meta-estetica il ruolo di una nuova disciplina, vedrei in essa una pratica riflessiva quasi-trascendentale tesa a definire i confini dell’estetico, sia in senso orizzontale sia in senso verticale. Così intesa, la meta-estetica ha il compito di chiarire il rapporto ‘orizzontale’ con altre discipline filosofiche come l’ontologia, l’epistemologia, l’etica, la filosofia del linguaggio. Un chiarimento che non dovrebbe valere soltanto come una difesa della propria autonomia disciplinare, ma capace anche di mettere in questione i tradizionali assetti identitari delle altre discipline. Quali conseguenze di ordine ontologico può avere, ad esempio, un’analisi dei fatti estetici? Quale rilevanza per la comprensione del significato linguistico ha l’ipotesi di una sua base estetica? Rispetto ai confini verticali dell’estetico, una meta-estetica dovrebbe invece indagare come esso si sviluppi da dinamiche percettive e in contesti culturali senza potersi ridurre né alle prime né ai secondi. In sintesi, la meta-estetica è condizione immanente al poter pensare l’irriducibilità dell’estetico senza condannarlo all’isolamento; vedendolo, piuttosto, nell’intreccio con altri strati e funzioni dell’esperienza umana e non soltanto umana. In questa prospettiva l’estetico, nella sua origine, va pensato proprio come un passaggio. Un passaggio, ad esempio, tra natura (disposizioni naturali) e cultura (abiti, contesti, tradizioni tipiche dell’’umano nel suo diversificarsi). Un passaggio che segna la nostra stessa identità, potremmo dire. E pertanto un passaggio che non possiamo mai abbandonare: in esso e di esso noi letteralmente consistiamo.
Quali sono le ragioni per distinguere l’estetica dalla filosofia dell’arte, riconoscendo che la loro relazione sia essenzialmente implicativa anziché identitaria?
Sia da un punto di vista filogenetico che ontogenetico, l’esperienza estetica precede quella relativa alla figurazione artistica e ne costituisce il presupposto. Detto in breve, l’esercizio di una generica attitudine estetica – quale quella che possiamo osservare nei bambini sin dai primi mesi (perlomeno da quelle che Michael Tomasello chiama le scene di attenzione congiunta tipiche della rivoluzione del nono mese) – precede la possibilità di interagire produttivamente con l’ambiente mediante linguaggi espressivi determinati (ad esempio, con il disegnare). La tesi suona così: l’espressivismo estetico, che ha radice nella stessa disposizione espressiva dei sistemi emozionali di base, è la condizione dell’esprimersi mediante i linguaggi dell’arte. Chi identifica l’estetica con una filosofia dell’arte nutre una visione molto riduttiva di entrambe, sotto le vesti illusorie e stanche della speculazione. Ma parlare ancora di queste posizioni significa attardarsi a parlare di programmi scientifico-filosofici del tutto fallimentari.
Nel tuo libro, La percezione riflessa, ti soffermi sulla genesi della connessione estetica tra mente e mondo individuando al suo fondamento i processi attenzionali precognitivi. Qual è il ruolo dell’attenzione e quali sono le sue conseguenze rispetto alla definizione dell’oggetto dell’estetica?
Il ruolo dell’attenzione per capire la genesi degli atteggiamenti estetici è decisivo. A patto che si intenda la differenza tra i fenomeni attenzionali e gli stati intenzionali. Sulla base di questa differenza, secondo la quale l’attenzione può essere intesa come una modulazione pre-intenzionale della vita percettiva, noi possiamo riconoscere il ruolo costitutivo dell’oggetto e del rapporto con l’esterno in ogni esperienza estetica. Così la dimensione estetica dell’esperienza umana può presentarsi come una conseguenza imprevista di processi attenzionali. Secondo questa tesi la stessa attitudine estetica si stabilizza nel paesaggio umano prima dello stabilizzarsi di atteggiamenti intenzionali. E questo obbliga a rivedere la stessa coestensività tra la nozione di coscienza e quella di intenzionalità.
Nelle stesse pagine scrivi che “un’estetica che non muova dall’aisthesis – ossia dalla linea di continuità che caratterizza il rapporto tra sensazione e percezione – non è legittimata a chiamarsi tale”. Condivido questa tua osservazione e mi chiedo se possiamo intenderla anche come una delle principali premesse per la definizione della “mente estetica”?
Certamente. Le mie ultime ricerche vertono proprio sul funzionamento estetico della nostra mente. Sono appunto dell’idea che la nostra è una mente estetica prima ancora che una mente simbolica. Una tesi che condivido con Ellen Dissanayake, una pioniera nell’analisi degli atteggiamenti proto-estetici nella primissima infanzia. A tale riguardo è essenziale per me il dialogo con le ricerche più serie condotte nell’ambito della cosiddetta neuro-estetica. Queste ricerche sono importanti a patto che muovano da un paradigma estetico non ingenuo. Qui il ruolo della filosofia è ancora essenziale. Anche nella direzione di formulare ipotesi per programmi di ricerca. Proprio in questa direzione sto lavorando attualmente alla definizione di un meccanismo estetico della mente come sintesi epigenetica: come armonizzazione o équilibration (nel senso di Piaget) tra sistemi emozionali e strutture cognitive.
Considerando lo studio delle implicazioni meta-estetiche, le nuove concezioni della mente e gli esiti delle ricerche condotte nell’ambito dell’estetica evoluzionista, quale sarà il prossimo orizzonte disciplinare?
Credo che un orizzonte tematico-concettuale assai fecondo per l’estetica dei prossimi anni sia quello offerto dalla centralità che la nozione di epigenesi ha assunto nell’ambito delle neuroscienze (ad esempio, con la nozione di “stabilizzazione selettiva” definita da Jean-Pierre Changeux) o nell’idea di una “sintesi estesa” nell’ambito della biologia evolutiva, messa a fuoco in un importantissimo volume a più voci a cura di Massimo Pigliucci e Gerd Müller (Evolution. The Extended Synthesis, MIT Press, 2010). Questo tema è affrontato sia nell’ultimo numero della “Rivista di Estetica”, a cura di Lorenzo Bartalesi e Gianluca Consoli, sia nell’ultimo numero di “Aisthesis”, a cura di Lorenzo Bartalesi e Mariagrazia Portera.
Davide Dal Sasso
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