I castelli di sabbia di Vik Muniz e Marcelo Coehlo. Incantesimi infinitesimali
Quattro anni di lavoro per creare degli straordinari castelli di sabbia. L'ultima sfida di Vik Muniz, affiancato dal ricercatore e artista Marcelo Cohelo, ha dell'incredibile. Per via delle dimensioni. Immensi? No, assolutamente microscipici
Noto per le sue accattivanti opere figurative – ritratti, architetture, paesaggi, riproduzioni di dipinti storici – realizzate con materiali insoliti, dal cibo ai coriandoli, dai diamanti ai giocattoli, Vik Muniz ha spesso lavorato con progetti di grandissime dimensioni: uno su tutti Waste Land, raccontato da un film Lucy Walker, Karen Harley e João Jardim, e premiato al Sundance Film Festival nel 2010.
Ma dalla passione per le opere over size, Vik Muniz è passato a un certo punto sul fronte opposto. Misurarsi con il micro, con l’infinitesimale, con ciò che l’occhio coglie a fatica o addirittura ignora. Una questione di limiti da superare, di incantesimi da liberare, di immagini da dischiudere, nel solco tra il visibile e l’invisibile. Mettendo in discussione lo stesso concetto di visione, in rapporto a quello di realtà.
L’incredibile esperimento condotto da Muniz nel corso degli ultimi quattro anni ha coinvolto l’artista e ricercatore scientifico del MIT Marcelo Coehlo, studioso di materiali fisici e computazionali, impiegati per creare nuove esperienze percettive.
Quattro anni. Un tempo lunghissimo, costellato di tentativi, fallimenti, affinamenti, scoperte, con un obiettivo di fronte, finalmente raggiunto: costruire dei castelli di sabbia. Niente di speciale? Non proprio. Il senso qui è differente, visto che la sabbia non è materia plastica per forgiare sculture in riva al mare, ma è il microscopico supporto su cui incidere immagini di antichi castelli. Sulla superficie scabra di un singolo granello, Vik Muniz si è infatto messo in testa di disegnare, come un visionario miniatore del terzo millennio. E Coehlo, dopo l’iniziale disorientamento, ha accettato la sfida. Ci sono voluti metodi e strumenti di ogni genere, da quelli tradizionali usati dagli orologiai, fino a quelli più hi-tech, come il FIB (Focused Ion Beam), un raggio ionico capace di creare una linea di appena cinquanta nanometri di diametro.
Un viaggio utopico nella materia, che ha generato la più piccola delle apparizioni, sul più inessenziale frammento roccioso. Poi, fotografando il tutto alla massima risoluzione, il segreto dell’immagine si è rivelato, in tutta la sua bellezza.
Il progetto è sostenuto da The Creators Project, realtà nata da una partnership tra Intel e VICE, per supportare artisti sperimentali che intendano usare la tecnologia in modo creativo e innovativo, oltre i confini tradizionali dell’estetica e della scienza. Vik Muniz c’è riuscito, sorprendendo ancora una volta lo spettatore, con una favola impossibile offerta allo sguardo, magicamente.
Helga Marsala
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