Villa Croce, da oggi a domani. Parla Ilaria Bonacossa
A Genova, a Villa Croce, inaugura un lungo percorso dedicato a Thomas Grünfeld. Tra animali ibridi impagliati e foto disambiguanti, la direttrice Ilaria Bonacossa rivela alcune anticipazioni. Come la prossima grande mostra, interamente dedicata a Tomas Saraceno.
I lavori di Thomas Grünfeld (Leverkusen, 1956), come da lui dichiarato, instillano “una reazione pura, istintiva, quasi infantile; il mio lavoro produce sempre una reazione sì-no-sì-no, di attrazione e insieme di repulsione. Cerco di prolungare questo momento di irritazione il più possibile, per evitare di disperderlo”. Le sale affrescate di Villa Croce a Genova raccolgono un lungo percorso eterogeneo, tra sculture, pitture, collage, fotografie e arredi di design dell’artista tedesco. Caratterizzata da animali impagliati, sovrapposizioni in feltro, wall piece, enormi macchie solidificate a pavimento e soluzioni d’arredo, Homey (letteralmente accogliente) si rivela come una selezione accurata e, assieme, strabordante, artificio di natura e natura artificiale. Categorie che si intersecano, tra piano terra e primo piano, lungo un chiasmo continuo. Sebbene l’antologica sia stata organizzata in collaborazione con il Museum Morsbroich (di Leverkusen in Germania), i lavori cessano di creare un dialogo tra loro, per inserirsi appieno, all’interno di una cornice perfetta, in completa armonia con la conformazione antica degli spazi. Dando infine vita a nuove forme di abitabilità del corpo.
La direttrice del museo, Ilaria Bonacossa, in occasione di Homey introduce alcune novità sul museo genovese.
Quale tipologia di istituzione è Villa Croce? Che cosa la contraddistingue?
Sicuramente la location, la sua vista sul mare, la storia che racconta le sue stanze e poi il modello di gestione, piuttosto unico per il panorama italiano. Si tratta di una gestione amministrativa mista, integrata. Dunque non esiste una fondazione di diritto privato che ci supporta, ma è il Comune di Genova che, grazie a un supporto di 400mila euro l’anno (a copertura delle spese inerenti a utenze, stipendi del personale, mantenimento e restauro degli spazi) dialoga con un pull di privati che, ad esempio, ha sostenuto le spese per indire il concorso vinto da me come direttrice. Pull che tuttora paga il mio stipendio supportando anche i costi di produzione, trasporto, montaggio e assicurazione delle mostre a Villa Croce, con un budget di 100mila euro annui.
Si tratta di una sorta di fondazione privata partecipata che ha notevoli vantaggi: il primo fra tutti è la snellezza amministrativa. Ad esempio, non siamo obbligati a indire gare d’appalto per i nostri fornitori, ma siamo invece responsabilizzati, per non oltrepassare il budget a disposizione, a contenere le spese. Inoltre possiamo ricevere offerte, donazioni, rimborsi e fondi con estrema flessibilità e rapidità. È impensabile credere ancora che per attivare i musei italiani ci si debba affidare a risorse pubbliche.
Che ricadute ha sulla programmazione questo impianto?
Quando lavoriamo con i giovani artisti, scegliamo sempre presenze emergenti che, sostenute in ogni modo, una volta qui a Genova abbiano la possibilità e la libertà di lavorare, pur riponendo estrema attenzione al budget. Non sempre è possibile scegliere tutti gli artisti del momento con i quali lavorare, ma quel che curiamo di più è la loro autonomia, al di fuori delle regole del mercato o dei dettami dei grandi circuiti espositivi internazionali. Noi spesso rischiamo, investendo sulla progettualità e sulla sperimentazione, ma ritengo sia il solo modo di promuovere un certo tipo di ricerca.
Che cosa non ti saresti mai aspettata da questo museo?
Mi sarei aspettata più pubblico, al di là degli addetti ai lavori. Ho conosciuto abitanti di Genova che non sanno nemmeno dove si trovi Villa Croce. Vorrei che con il passaparola si scoprisse di più la storia e il presente di questa magnifica residenza per l’arte. Il punto di forza è il medesimo, ovvero la location. All’inizio temevo che affreschi e pavimenti sarebbero stati ingombranti, ma poi la dimensione delle sale, domestica, mi ha fatto ricredere. Sto cominciando a capire quanto la storia di questo spazio necessiti con urgenza un dialogo contemporaneo, senza alcun tipo di rigetto o di diffidenza tra le due dimensioni.
Quali insegnamenti della città di Torino e della direzione di Bonami ti sono valsi anche per il proscenio culturale genovese?
Direi che si debba citare prima di tutto Patrizia Re Rebaudengo. Lei, infatti, come nessun altro collezionista in Italia, ha saputo assorbire, rielaborare e poi anticipare le grandi energie che Torino ha sempre emanato in termini culturali. Da lei ho imparato una gestione americana degli spazi museali. Seguendo il suo esempio, ho istituzionalizzato gli Amici del Museo, rendendo funzionali per Villa Croce tutte le tipologie di supporti proprio come tutte le attività e i progetti che verranno svolti.
Da Bonami ho imparato una grande lezione: bisogna avere il coraggio di rischiare quando si tratta di concedere la propria disponibilità agli artisti emergenti e allo stesso tempo di lasciarli operare sugli spazi. Altrimenti si rischia, all’opposto di accettare mostre distillate, senz’anima. Si sente a pelle quando una mostra appartiene a un luogo perché per esso è stata creata, senza ricevere preconfezionamenti dall’esterno. Fare cultura significa anche saperla comporre.
A questo proposito, a Genova, abbiamo dovuto scardinare i fornitori che ufficialmente lavoravano per Villa Croce, cominciando a ragionare con diverse tipologie di piccole imprese manifatturiere e sulle loro offerte in termini di qualità/prezzo. Incontrando diversi ostacoli e non poche resistenze, abbiamo scoperto artigiani accurati e, soprattutto, comunità di lavoratori davvero inaspettate, come l’unità di falegnami del carcere di Marassi.
Esiste un modello al quale Villa Croce si ispira?
Pensando all’estero, sceglierei la Whitechapel di Londra. Grazie a una direttrice illuminata e a un ottimo inserimento territoriale, si è instaurato un dialogo fra lo spazio e il quartiere che lo ospita. Anche il budget è proporzionalmente ridotto, rispetto agli altri musei della città, eppure i giovani artisti vengono seguiti con estrema cura, è stata avviata una caffetteria, una sala proiezioni, un bookshop e si continua a lavorare sul pubblico, affinché la collezione del museo respiri, sia viva e visibile a tutti. In Italia, oltre alla Sandretto, sceglierei la vecchia Galleria Civica di Trento, che poi però è stata fagocitata dalla gestione del Mart e dalle ripartizioni di Provincia e Regione.
Quale aspetto, a tuo parere, va maggiormente sottolineato dell’arte contemporanea in Italia e perché?
Oggi in Italia i grandi numeri di pubblico si ottengono solo con mostre blockbuster. Se, invece, si desidera lavorare sui giovani artisti e sul contemporaneo, si sa a priori che si darà vita a un evento di nicchia. In Inghilterra e in Germania non è così: si trovano pagine intere, sui quotidiani, dedicate a giovanissimi, con tanto di disquisizioni critiche e di schede d’approfondimento.
Io lotto con gli artisti emergenti per inserire, accanto alle loro opere, le didascalie. Ritengo infatti che persino le signore anziane e i bambini debbano avere accesso almeno a un primo strumento di avvicinamento al linguaggio della contemporaneità. Non si deve mai dare per scontato che chiunque possa e debba comprendere.
Com’è la scena del collezionismo?
Sono rimasta molto stupita: esistono collezionisti di assoluto rilievo che si muovono molto, ma che mantengono assoluto riserbo e domesticità in merito ai lavori acquisiti. Opere che mantengono solo fra le pareti di casa e che non è così scontato avvicinare. Per questo motivo allestiremo, in completo anonimato, una collezione genovese nelle stanze di Villa Croce come se fosse la trasduzione da un ambiente familiare a un altro. Sarà una grande mostra che intitoleremo Il segreto di una collezione.
Con quali artisti emergenti vorresti lavorare nei prossimi mesi? Potresti anticipare i programmi futuri di Villa Croce?
Fino all’inizio del 2015 la programmazione è decisa. Mi riferisco alla personale di Saraceno a giugno e a Constructed world del duo australiano Geoff Lowe e Jacqueline Riva, che realizzeranno un programma molto particolare a luglio, manifestazione supportata dall’Australian Arts Council. Ovviamente, però, non posso utilizzare Villa Croce come se fosse una galleria. Amerei lavorare con Santo Tolone oppure con Camilla Henrot, ma serve una strategia di lungo corso che non prescinda dal perseguire una missione, una visione del museo in sé.
Per quanto riguarda gli artisti stranieri, ho lavorato molto a Torino con artisti indiani e mi piacerebbe tornare a lavorare con Amar Kanwar, oppure aprire una nuova collaborazione con lo scultore brasiliano Tunga, ma ritengo che entrambe queste scelte sarebbero poco inerenti con la città di Genova. Sarebbe, invece, più interessante lavorare con artisti dell’Ecuador, dato che in città risiede la più importante comunità ecuadoriana.
Chi è Thomas Grünfeld e che cosa rappresenta la sua prima mostra istituzionale italiana per Villa Croce?
È stata una grande occasione, per Genova, celebrare un artista come Grünfeld attraverso una retrospettiva organizzata in collaborazione con il Museum Morsbroich di Leverkusen. Non solo perché abbiamo avuto modo di comparare due musei simili, ma anche perché è stata una bellissima scoperta quella di poter ospitare il percorso di un artista di quasi sessant’anni. Thomas ha ordinato la propria esperienza, per metterla al servizio delle stanze e del pubblico di Villa Croce. Tra oggetti d’arte e sculture di design abbiamo conferito al percorso una grande, amplia trasversalità di generi, creando molteplici livelli di lettura
Come nasce l’idea della mostra nelle sale della villa e come dialoga con esse?
Thomas ha voluto ricostruire una maquette della villa genovese, di modo da poter disporre funzionalmente i suoi lavori. È stato incredibile poter lavorare accanto a un artista che possiede una così alta consapevolezza del proprio percorso e della propria vita nell’arte. La mostra a Villa Croce in fondo rispecchia questa grande padronanza del tempo, oltre che dello spazio. Per questo motivo ho voluto che venisse in università a tenere alcune lezioni. Momenti in cui ha elargito consigli utili, suggerimenti diretti e descrizioni dettagliate su quel che comporti essere un artista oggi e con il trascorrere degli anni.
Come si sviluppa il percorso?
Ai piani inferiori è stato deciso di allestire le tassidermie del 1988, i lavori più iconici e più godibili. Mano a mano che si sale, si trovano invece i suoi primi lavori, invertendo i piani cronologici e le tracce semantiche, ma lasciando ben intuire quanto ogni stanza sia stata curata millimetricamente come un omaggio alla storia dell’arte e del design italiano. Tra i Concetti spaziali di Fontana e le foto di Mollino.
Potresti formulare un augurio che accompagni l’esposizione?
Vorrei che la gente avesse voglia di far ritorno a Villa Croce, dato che, grazie agli sponsor, l’ingresso è gratuito. Vorrei che si comprendesse quanto il contemporaneo sia il futuro di oggi, o, perlomeno, una sua rappresentazione, una sua proiezione. L’Italia non è né un museo a cielo aperto, né un parco dei divertimenti per stranieri. Dobbiamo educare galleristi e collezionisti a riconoscere il talento dei nostri artisti emergenti anche se entro le nostre mura, perché le radici non sono importanti solo se danno frutti immediati. Serve lungimiranza per la cultura.
Ginevra Bria
Genova // fino al 18 maggio 2014
Thomas Grünfeld – Homey
VILLA CROCE
Via Jacopo Ruffini 3
010 580069
[email protected]
www.museidigenova.it
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