Corteggiate o molestate? Femminismo e public art. La denuncia di Tatyana Fazlalizadeh

“Hey, sweety”... Provolone in azione, per rimorchiare l’ennesima preda. Fastidio? Imbarazzo? Qualche volta paura? Un’artista newyorchese ha raccolto tante testimonianze femminili e ci ha fatto un lavoro

Gli americani lo chiamo “catcalling”. Che in italiano sarebbe la pratica, antica e diffusa, del “rimorchio”, nella sua veste più fastidiosa, insistente, imbarazzante. Molestia verbale, in sostanza. L’uomo che pensa di poter accompagnare il passaggio di una ragazza con apprezzamenti, ammiccamenti sessuali, fischi, affermazioni inopportune. Difficile, a volte, definire il confine tra il complimento simpatico e il commento seccante. Qualcosa che attiene alla sensibilità di ognuna. Ma che nasce, spesso, da una cultura sessista: normale è sottolineare, sempre e comunque, le qualità fisiche di una donna; normale è importunarla se è bella e denigrarla se non lo è abbastanza; così come è normale interpretare un decolleté, un abito succinto e un paio di tacchi come un invito ad accorciare le distanze: dal classico abbordaggio alla mano morta, per strada, sull’autobus, nei luoghi pubblici.
Di tutto questo si sta occupando l’artista Tatyana Fazlalizadeh, col suo progetto Stop Telling Women to Smile, di cui hanno scritto illustri testate statunitensi, dal New York Times all’Huffington Post. Un esperimento relazionale, che parte dal dialogo con alcune donne e giunge a una dimensione collettiva, tra street e public art.

Tatyana Fazlalizadeh, Stop Telling Women to Smile

Tatyana Fazlalizadeh, Stop Telling Women to Smile

Tutto è iniziato nel 2012, a Brooklyn, con una campagna di crowdfunding lanciata su Kickstarter, per ampliare l’idea iniziale e raggiungere un gran numero di testimoni: protagoniste alcune vittime di “catcalling”, tra Philadelphia, Washington, Boston, Chicago, Los Angeles, San Francisco, Baltimora, Atlanta. I loro ritratti in bianco e nero, a matita o a carboncino, sono diventati poster e sticker incollati sui muri di New York. Al margine di ogni volto, una frase. Una delle tante raccolte durante le conversazioni registrate: “Il mio outfit non è un invito”; “Le donne non escono per il tuo intrattenimento”; “Il mio nome non è baby, sexy, sweety, honey, pretty…”, “Le critiche sul mio corpo non sono benvenute”… Una faccia, uno slogan, un messaggio: la donna non è un oggetto in vetrina. Oppure, per dirla col titolo dell’opera, le donne non devono sorridere per forza. Non per piacere agli uomini, non per essere gradevoli col capo, non per sedurre chiunque, a prescindere.

Tatyana Fazlalizadeh, Stop Telling Women to Smile

Tatyana Fazlalizadeh, Stop Telling Women to Smile

Esagerazioni femministe? Qualcuno, in Italia, sfodererebbe il neologismo “boldrinate”, con riferimento alla Presidente della camera Laura Boldrini, in prima linea su questi temi, non senza stucchevoli eccessi di retorica. Ma, al netto di estremismi vacui, l’arte della seduzione e quella del corteggiamento nulla c’entrano con i continui test estetici, con la sgradevolezza di certi pressing sessuali, con l’invasione degli spazi personali. La parola chiave? Rispetto. Un affare di educazione, intelligenza, stile. Perché un gentleman non è mai un “catcaller”.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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