La regina nuda delle istituzioni culturali: la missione
L’esplicitazione della missione, o la dichiarazione di missione, è forse la più scontata e praticabile attività per un’istituzione culturale, ma non la più semplice. Una prova? Chiedete un contributo scritto agli operatori culturali (dipendenti, collaboratori, portatori di interesse) di quella istituzione e vedrete che ne uscirà un mosaico multicolore.
La causa ha anche radici storiche ed è legata all’eterogenea provenienza delle collezioni (artistiche, archivistiche ecc.) che fin dall’antichità facevano spesso riferimento a istituzioni fortemente caratterizzate (statali, amministrative, ecclesiastiche ecc.). Da qui il concetto di missione quale emanazione o propagazione dello status giuridico dell’ente proprietario (“istituto”, “struttura organizzata”) in via prevalente di natura pubblica oltre che di pubblico interesse.
Ma che cos’è la missione? È l’individuazione della finalità che, nel lungo periodo, l’impresa culturale intende perseguire. Gerarchicamente parlando, è posizionata al vertice della piramide del sistema di scelte alla base del funzionamento dell’organizzazione. Mentre in questa sede conta poco entrare nel merito della finalità (a ciascuno la sua), pare più utile riflettere su alcuni aspetti.
1. Conoscenza assoluta versus conoscenza relativa. La conoscenza della propria missione è importante non soltanto in termini assoluti, quanto anche in termini relativi, attraverso una sua continua contestualizzazione. Ciò non significa che la formulazione della missione debba essere messa in discussione in funzione di fattori soprattutto esterni, che possono avvicendarsi con una certa frequenza, quanto conoscere gli agenti e i cambiamenti e valutarne lo spessore.
2. Scripta manent: chiarezza e semplicità. È auspicabile focalizzare gli obiettivi, senza incorrere in una inefficace genericità ed essere semplici e comprensibili nelle statuizioni (plain language).
3. Interiorizzazione e condivisione della missione. Perché non introdurre strumenti per accrescere il senso di appartenenza e di identità? Se gli operatori culturali avranno “fatto propria” la missione, saranno i primi promotori dell’istituzione culturale.
4. Valore tangibile e valori intangibili. Un ruolo centrale nell’esplicitazione della missione ha il valore tangibile per cui l’istituzione è nata (una collezione d’arte, un fondo librario, un’orchestra ecc.). Ma non perdiamo di vista i valori intangibili per cui essa ancora oggi vive (reputazione, varietà dell’offerta culturale, economie di atmosfera, innovazione, formazione, educazione ecc.).
La longevità dell’istituzione culturale dunque dipende molto dalla sua capacità di vivere mission oriented e driven by purpose piuttosto che devoted to objets.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #18
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