Shimi Asresay e Hili Noy, omaggio a Billie Holiday. Una favola blues contro il razzismo
Indimenticabile Billie Holiday, con le sue gardenie tra i capelli, che intona la bellissima Strange Fruit. Inno contro gli abusi del razzismo, a cui si ispirano due giovani filmaker israeliani, per un corto che commuove il mondo
La prima volta che l’immensa Billie Holiday stregò il pubblico con la sua Strange Fruit era una sera del 1939, nella fumosa sala del Café Society di New York. Aveva appena ventiquattro anni ed era già una piccola stella: di quella canzone struggente, scritta da Abel Meeropol e straziata da una tromba senza tempo, la signora del blues avrebbe fatto un evergreen, simbolo della battaglia contro le discriminazione razziali, in un’America segnata dal pregiudizio e dall’ignoranza. Una canzone che parlava, coraggiosamente, di corpi appesi ad alberi dell’orrore, cullati dalla brezza del Sud: strani frutti amari, per cui sollevare un canto di tristezza, di denuncia e di preghiera.
Strange Fruit, ancora oggi, è un inno della lotta per i diritti civili, brano immortale della storia del jazz.
Da qui sono partiti i giovani e talentuosi Shimi Asresay e Hili Noy per realizzare la loro prova di diploma alla Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme. Strange Fruit è il titolo del video, che dopo aver girato decine e decine tra i più importanti festival del mondo, si è portato a casa tre premi: all’ANIMFEST di Atene (2014), al Festival Internacional de Cine Social di Concordia (2014) e al BUtiful International Young Filmmaker Film Festival di Dorset (2013).
L’orrore del razzismo, in questo raffinato short film animato, diventa materia onirica di una storia priva di parole, come partorita tra le sequenze di un sogno a tinte fosche. Storia di bambini e di eredità cattive, lasciate dalle vecchie generazioni e qualche volta rinnegate, quando la coscienza si desta dinanzi all’errore.
Ma è davvero possibile ripudiare la volontà del padre e abbattere quell’albero carico di strani frutti, che odorano di morte? E cosa significano la paura, il sospetto, la diffidenza, laddove la diversità diventa un fatto di contagio, di cui liberarsi a qualunque costo?
La favola muta di Asresay e Noy costruisce un’immagine simbolica e visionaria per raccontare tutto questo. Chiudendo il sogno con un’altra idea di liberazione: quella che uccide, lentamente, la cultura del pregiudizio e della prevaricazione.
Helga Marsala
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