Crossover fiorentino. Base si racconta
Un progetto collettivo che prosegue dal 1998. Siamo a Firenze, dove ha base Base. Negli anni c’è chi è partito e chi è arrivato, ma lo spirito resta quello: “praticare quotidianamente l’utopia”. Come sempre nel nostro focus, sono i diretti interessati a parlare del proprio lavoro.
BASE / Progetti per l’arte è uno spazio non profit fondato nel 1998 a Firenze, in via San Niccolò 18r, da un collettivo di artisti che, partendo da un’idea comune dell’arte, desideravano creare un luogo di incontro in cui riflettere sui linguaggi della contemporaneità, coinvolgendo e invitando altri artisti attivi sulla scena internazionale. Hanno esposto a Base, tra gli altri, Maurizio Mochetti, Lawrence Weiner, Rirkrit Tiravanija, François Morellet, Liam Gillick, Heimo Zobernig, Robert Barry, Sol LeWitt, Rainer Ganahl, Olivier Mosset, Jan Vercruysse, Franz West, Carsten Nicolai, Jonathan Monk, Pedro Cabrita Reis, Nedko Solakov, Luca Vitone, Eva Marisaldi, Olaf Nicolai, Piero Golia, John Nixon & Marco Fusinato.
Il nucleo di artisti fondatori era composto, in origine, da Antonio Catelani, Carlo Guaita, Paolo Masi, Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci e Paolo Parisi. Successivamente, nel corso degli anni, hanno partecipato diversi altri artisti residenti in Toscana, fino ad arrivare, dal 2000, all’attuale squadra: Mario Airò, Marco Bagnoli, Massimo Bartolini, Paolo Masi, Paolo Parisi, Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci, Remo Salvadori. Il coordinamento delle attività espositive è invece affidato a Lorenzo Bruni.
La peculiarità di questo spazio è testimoniata dalla convivenza di artisti che usano mezzi espressivi e modalità diverse e che appartengono a tre generazioni differenti. Maurizio Nannucci lavora con i mezzi della comunicazione e sulla loro natura dalla fine degli Anni Sessanta mentre Paolo Masi, sempre dagli Anni Sessanta, pratica con coerenza i limiti dell’astrazione geometrica di tipo gestaltico. Dai primi Anni Settanta, Massimo Nannucci lavora sul concetto di vero/falso e di mimesi tra oggetti d’arte e oggetti del quotidiano; Remo Salvadori sull’idea di incontro e di dare nuova vita ai materiali inorganici, come il piombo e la materia/colore; Marco Bagnoli riflette sull’idea di sapere, mettendo a confronto scienza e natura. Mario Airò e Massimo Bartolini, appartenenti alla generazione emersa alla fine degli Anni Ottanta, attraverso installazioni immateriali e ambientali lavorano sull’idea di crossover tra differenti discipline, per creare una dimensione di stupore in cui lo spazio fisico è direttamente messo a confronto con quello immaginato. Paolo Parisi dagli inizi degli Anni Novanta realizza una riflessione sul punto di vista dello spettatore attraverso una pratica del concetto del monocromo in pittura, confrontando lo spazio della rappresentazione con quello esperibile. Tra i giovani artisti che si sono formati all’interno di questo fruttuoso dialogo vi sono Enrico Vezzi, Vittorio Cavallini, Yuki Ichihashi e Irina Kholodnaya.
Base è un’utopia praticata giornalmente, che si interroga costantemente su qual è e quale dovrebbe essere il ruolo dell’artista rispetto alla società e su cosa, oggi, possiamo considerare arte e perché. Spazio aperto alla conoscenza e all’informazione, Base, attraverso una dialettica di segni e linguaggi, concorre a tenere aperto un confronto di idee sulla contemporaneità. Gli artisti che ne fanno parte si avvicendano nella conduzione delle attività, coinvolgendo, in una forma di partecipazione e supporto attiva, un numero sempre più vasto di artisti, studiosi, collezionisti, amici. Da ben quindici anni lo spazio presenta mostre, progetti site specific, confronti e dialoghi, proponendo differenti letture e prospettive su quanto di più interessante accade nell’arte italiana e internazionale e nei suoi territori limitrofi.
UNA STORIA DI BASE
Gli artisti che hanno esposto a Base sono differenti tra loro per generazione e genesi artistica. Nel 2008, con il progetto Instead of allowing some thing to rise up to your face dancing Bruce and Dan and other things, Tino Sehgal sviluppò una riflessione sul senso di ciò che può essere considerato opera d’arte: attraverso un performer che si muoveva riverso sul pavimento, come una medusa, il tentativo era di perimetrare lo spazio che conteneva l’azione. Un modo per riprendere le ricerche degli Anni Settanta, coinvolgendo lo spettatore – più o meno consapevole – nel processo di decodifica del gesto artistico e di relazione con lo spazio. Nel 2004 Rirkrit Tiravanija con il suo progetto qualsiasi tv ha posto la stessa questione rivolgendosi direttamente alle persone del quartiere e trasformando lo spazio di Base nella sede di una street tv: qui le persone potevano realizzare i propri programmi o trasmettere materiali video. L’opera d’arte non era più un oggetto da osservare ma una maniera per rendere evidente il processo di coesistenza e di relazione tra le persone coinvolte. L’opera, in questo caso, è intesa come interrogazione su cosa renda uno spazio un luogo d’arte. Nello stesso anno, la mostra di Matt Mullican si interrogava sul linguaggio dell’arte e sul rapporto con lo spazio fisico e la sua immagine: due grandi bandiere e una serie di animazioni di computer grafica ponevano l’attenzione sulla natura dei segni e sulla loro interpretazione rispetto al contesto in cui si manifestano.
Molti anni prima, nel 1999, Niele Toroni, con il segno del pennello n. 50, rifletteva sulla natura della pittura, concretizzandone il grado zero nella sua autorappresentazione, così che la struttura architettonica dello spazio si manifestasse attraverso le variazioni di forme geometriche disegnate sulle pareti. E ancora, l’opera Diagonal space (2006) di Jeppe Hein permetteva una misurazione visiva del luogo attraverso una struttura zigzagante di metallo, che si sviluppava dalla profondità dello spazio verso l’entrata, e su cui scorreva dell’acqua dando vita a una fontana. A tratti una linea di fuoco (alcool infiammato) prendeva il posto dell’acqua, creando, attraverso il calore e la luce, un coinvolgimento fisico – oltre che immaginativo – dello spettatore. Ancora una via per stimolare una riflessione sulla percezione dello spazio. Ma è forse il lavoro di Antoni Muntadas (2000) ad apparire come sintesi del significato di Base. L’intervento consisteva in una pellicola rossa che, rivestendo la porta finestra e la finestra, trasformava lo spazio in un lightbox inaccessibile. Avvicinandosi a questo diaframma monocromo, i passanti potevano osservare lo spazio illuminato all’interno, attraverso una serie di lettere ritagliate sulla superficie rossa che, se viste nel loro insieme, affermavano: “La percezione richiede partecipazione”.
SGUARDO AL FUTURO
L’obiettivo e la modalità di Base rimane costante anche dopo sedici anni di attività: uno spazio di confronto democratico e orizzontale sul ruolo e la pratica dell’arte, il cui dibattito è alimentato, di volta in volta, dai singoli progetti proposti dagli artisti invitati. La particolarità di questo spazio non profit sta nel voler condividere a livello pubblico il bagaglio di confronti e rapporti internazionali propri dei singoli artisti del collettivo. Per questo, più che di nuovi progetti Base può parlare di nuove soluzioni e prospettive al dibattito culturale a cui giunge per mezzo dei singoli contributi dei singoli artisti. Con la mostra dal titolo col tempo, di Franco Vaccari, Base ha inaugurato a gennaio 2014 la nuova programmazione. Un progetto importante, che evidenzia come la lunga e proficua ricerca di Vaccari attorno al potere dell’immagine e della sua diffusione tecnologica non abbia mai puntato a individuare uno “spazio di esposizione” o “di azione”, ma piuttosto un “luogo della relazione” tra segno e spettatore, tra opera e contenitore, tra memoria personale e collettiva. L’ambiente che ha creato Vaccari per Base destabilizza l’aspettativa dello spettatore, che si trova a fare i conti con diversi elementi, apparentemente in contrasto tra loro: tra questi, un codice per la lettura elettronica posto su una parete, con un messaggio fruibile solo tramite uno scatto fotografico per mezzo di un cellulare. L’attenzione è così rivolta non all’immagine osservata ma alla relazione tra i fruitori e un istante specifico di condivisione. Un’attitudine, questa, che appartiene a tutti gli artisti di Base, sempre nell’ottica del dialogo tra artisti e spettatori, ma anche tra le diverse figure e istituzioni che animano il territorio. Un dialogo che verrà approfondito nel corso del 2014 tramite il programma di BaseTalks (!), strutturato attraverso piccoli workshop e incontro con spazi non profit attivi a livello europeo. Ulteriore spazio sarà dato ai progetti di condivisione di materiale di archivio, con l’autoproduzione di un giornale e una serie di documentazioni video, da distribuire in Rete. In programma, a breve, anche la presentazione del volume Alla maniera d’oggi, che raccoglie l’esperienza della mostra omonima coordinata dal Museo Pecci di Prato, in occasione dei dieci anni di attività dello spazio, evento che vide protagonisti gli artisti del collettivo, per la prima volta in campo con le loro stesse opere, collocate in alcuni spazi storici della città.
Base
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17
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