“Il Macro? Non può essere un ufficio del Comune”. Da Pietroiusti ad Alessandra Mammi, da di Pietrantonio a Cavallucci, ecco cosa si è detto nel dibattito romano
Se il dubbio nello spazio è dello spazio. Questo il titolo del dibattito svoltosi ieri pomeriggio – 14 maggio – al Macro, organizzato dagli artisti Nemanja Cvijanovic (Croazia 1972), in residenza in questo periodo nel museo, e Maria Adele del Vecchio (1976, Caserta). Un incontro che si proponeva come momento di apertura e confronto tra […]
Se il dubbio nello spazio è dello spazio. Questo il titolo del dibattito svoltosi ieri pomeriggio – 14 maggio – al Macro, organizzato dagli artisti Nemanja Cvijanovic (Croazia 1972), in residenza in questo periodo nel museo, e Maria Adele del Vecchio (1976, Caserta). Un incontro che si proponeva come momento di apertura e confronto tra diverse realtà, estendendo le tematiche presenti nella mostra collettiva curata sempre dai due con il medesimo titolo nello studio dell’artista croato. Il titolo, centratissimo, introduce bene la questione dei ruoli dei vari attori in scena nel complesso mondo dell’arte e ancor di più evidenzia la coltre d’incertezza calata proprio sul Macro nel rapporto fra arte, spazio e politiche culturali comunali (proprio mentre la “reggenza” di Alberta Campitelli è stata prorogata fino al 30 giugno). Gli invitati sono stati chiamati a partecipare non tanto per fornire ricette “salva impasse”, quanto per riflettere sui processi. A cominciare dalla suggestione proposta dai due artisti/curatori che hanno rintracciato nelle evidenti mancanze del Macro un dubbio circa la sua stessa natura.
Gli interventi messi insieme hanno dato degli ottimi spunti sui quali riflettere: Cesare Pietroiusti nel ruolo dell’artista ha auspicato una continua messa in discussione della “pelle” del museo, proponendo come destinazione d’uso del Macro quella del laboratorio. Negli interventi di Alessandra Mammi (L’espresso), Giacinto di Pietrantonio (GAMeC, Venezia) e Fabio Cavallucci (Pecci, Prato) la questione sul destino e il ruolo delle istituzioni è stata centrale. Mammì ha marcato come sia sbagliato considerare “il Macro come un ufficio del Comune”, e che il suo esempio è “il sintomo di una malattia più grave”, indice di una crisi democratica dirompente nel Paese. Mentre Cavallucci ha sottolineato quanto sia rilevante il peso, dal punto di vista gestionale, della “sconnessione tra pubblico e addetti ai lavori”. Gli interventi dei rappresentanti degli spazi autogestiti Valeria Mancinelli (SaleDocks, Venezia) e Silvia De Fanti (Teatro Valle), seguiti da quelli di Christian Costa (collettivo Spazi Docili, Firenze) e Lucrezia Cippitelli (storica dell’arte), hanno introdotto queste esperienze di realtà operative, laboratori sperimentali per l’appunto. Condivisibili gli aspetti messi in luce da De Fanti: “il confronto con modelli funzionanti come una strategia dalla quale ripartire” e l’importanza di formare il pubblico, un accesso al sapere più trasversale.
Non è quindi una questione di biglietti staccati, di numeri: i musei d’arte contemporanea proprio perché radicati nel presente più di altri dovrebbero impegnarsi a cercare di conoscere il territorio in cui vivono, altrimenti rischiano di non essere percepiti come un “bene comune”.
– Giorgia Noto
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