Dan Graham a Trivero. La nuova gemma della Fondazione Zegna
A meno di un anno di distanza dall’inaugurazione di Marcello Maloberti, il 31 maggio la Fondazione Zegna presenta l’installazione di un padiglione dell’artista americano. Un’architettura specchiante posta nella suggestiva Conca dei Rododendri.
Il 31 maggio inaugura la VI edizione di All’Aperto, a cura di Andrea Zegna e Barbara Casavecchia, un evento che nasce per rendere più fruibile l’accesso all’arte contemporanea e ai suoi valori. Dal 2008 sviluppa nell’area attorno a Trivero (Biella) una serie di opere permanenti realizzate appositamente da autori di calibro internazionale, che si rivolgono alla collettività. Quest’anno i due curatori hanno attuato una scelta d’eccezione: Dan Graham (Urbana, 1942; vive a New York).
Quale aspetto, quale tema del percorso di Graham vi ha sempre colpito e perché?
Andrea Zegna:L’opera che più mi ha colpito e che mi ha decisamente avvicinato al lavoro di Graham è stata l’installazione che ho avuto modo di visitare sul tetto della Hayward Gallery di Londra, Waterloo Sunset (2002-2003), sebbene fossi rimasto affascinato anche dai suoi lavori degli Anni Settanta. Sono rimasto molto impressionato anche dal padiglione di Münster (Fun-House für Münster, 1997), ma il motivo reale che mi ha spinto a contattare Graham è stato il grande fascino che il luogo inaspettato della Conca dei Rododendri avrebbe emanato una volta riflesso e restituito a Trivero grazie alle sue architetture.
Barbara Casavecchia:L’interesse costante per la presenza del pubblico all’interno del perimetro dell’opera e la capacità di scandagliare l’effetto della meraviglia, al di là della familiarità con l’arte contemporanea di chi la esercita. Mi ricordo molto bene la prima volta che, ancora studente, sono entrata in un lavoro di Dan: i Two Adjacent Pavilions (creati per Documenta 7) al museo Kröller-Müller di Otterlo. Era un giorno di pioggia, le gocce scorrevano sui vetri amplificando il gioco dei riflessi attorno al verde del parco: all’interno si trovava riparo, silenzio, e ci si poteva sottrarre allo sguardo altrui, pur immergendosi completamente nel paesaggio e nell’esperienza del lavoro. Una splendida wunderkammer. È sempre includendo gli spettatori, i loro sguardi e le loro reazioni che Graham ha progettato i primi ambienti, come Public Space / Two Audiences alla Biennale di Venezia del 1976, poi trasformatisi nei padiglioni a partire dagli Anni Ottanta. Sono congegni di visione che con un linguaggio disarmante e semplice mettono in gioco temi complessi di psicologia, antropologia, architettura, filosofia, abbattendo le distanze tra le discipline, così come tra opera e pubblico. Mai come ora, in un’epoca ossessionata dallo sguardo su di sé e dalla moltiplicazione pubblica della propria immagine, il lavoro elegante, rigoroso e intelligente di Graham mi sembra attuale.
Secondo quali modalità Two Way Mirror / Hedge Arabesque (2014) prosegue, completa e arricchisce la selezione di opere installate a Trivero?
A. Z.:Trivero è un paese comprendente 29 frazioni. Quello di Dan Graham sarà il primo lavoro allestito al di fuori del villaggio, in un luogo appartato rispetto agli altri interventi. Infatti, a circa un chilometro dal centro, salendo lungo la Panoramica Zegna, si trova il luogo predefinito per il progetto: la Conca dei Rododendri. Per quanto riguarda, invece, la ricerca di una coerenza tra artista e artista, o tra opera e opera, nel lungo iter di All’aperto,tanto io quanto Barbara scegliamo ciascuno degli autori osservando il loro approccio e la loro storia singolarmente, puntualmente. Il nostro primo obiettivo è che possano lavorare sul paesaggio impreziosendolo e restituendolo, in primis, a chi lo abita. Il nostro vero interesse è che le opere possano diventare patrimonio comune. Spesso proviamo a immaginare come gli abitanti interagiranno con esse, pur non essendo un gruppo di esperti del settore.Siamo convinti, infatti, che ciascuna opera debba essere compresa senza essere spiegata. Lavorando con artisti italiani, ad esempio, abbiamo notato come sia più forte per loro il legame con il territorio e come questi, compiuti numerosi sopralluoghi, abbiano amato coinvolgere anche i triveresi nella genesi dei loro progetti, rendendo le aree a loro deputate angoli unici.
B. C.:Ogni capitolo del progetto All’Aperto è site specific e contribuisce ad attivare sguardi inediti sul paesaggio quotidiano del paese. Tutti i lavori condividono il criterio dell’accessibilità, dato che non ci sono orari o barriere a regolarne la visione. Two Way Mirror / Hedge Arabesque è un’opera aperta, sia letteralmente che metaforicamente: è anche il primo intervento che si colloca al di fuori dell’area urbana, scegliendo di coabitare direttamente con la natura.
Per la scorsa edizione, Marcello Maloberti ha realizzato un giardino pubblico, collaborando con numerose associazioni locali: uno degli aspetti più interessanti del curare un progetto che si sviluppa in un arco di tempo molto lungo è che consente di mettere a confronto le modalità con le quali ogni artista si pone in dialogo con la dimensione pubblica della commissione, e quindi con il territorio e la comunità.
Come dialogherà il padiglione in sé (materiali, strutture e concetti) con la Conca dei Rododendri? E con gli altri progetti, quale relazione potrà instaurare?
A.Z.:L’installazione in sé è un manufatto dalla qualità artigianale sopraffina: ogni parte, una volta assemblata alla propria omologa, rasenta la precisione assoluta. Graham ci ha impartito precise direttive in merito alla produzione dell’intervento, portandoci a contattare due ditte: una olandese, per quanto riguarda la realizzazione dei vetri, e una belga, in merito ai profili che compongono la struttura del padiglione. Solitamente noi interpelliamo gli artigiani di Trivero, così com’era successo per uno scalpellino e Arienti, affinché la sapienza manifatturiera del luogo venga coinvolta negli interventi artistici del paese e qui venga messa in luce. Ma questa volta abbiamo lasciato che l’opera in sé esprimesse la qualità progettuale voluta e difesa dall’artista, facendo sì, addirittura, che gli elementi venissero portati fino alla Conca dei Rododendri con un elicottero e che l’installazione entrasse in dialogo con due diversi interventi paesaggistici (il primo degli Anni Sessanta e il secondo, quello più recente, del 2003).
B.C.: Al primo sguardo, forse si registra un contrasto fra la struttura minimalista in vetro e acciaio del padiglione e ciò che la circonda. Ma più ci si avvicina, più opera e contesto si parlano. Inoltre, quella della Conca è una natura sui generis, visto che è il risultato di un intervento di architettura del paesaggio a firma di Pietro Porcinai, ripreso in anni recenti da Paolo Pejrone. Cosa sia naturale e artificiale non è così semplice da definire. La Conca è un’area molto visitata dell’Oasi Zegna, quindi mi aspetto molti incontri “a sorpresa”, che non coinvolgeranno solo addetti ai lavori.
Dopo Daniel Buren, Alberto Garutti, Stefano Arienti, Roman Signer e Marcello Maloberti, quale tassello della storia dell’arte diventerà parte del paese di Trivero e perché?
A. Z.:Non esistendo un percorso unico e predefinito a collegare tutti questi artisti, si preferisce dapprima individuare un luogo sul quale intervenire urbanisticamente per poi lasciar loro realizzare precise risposte estetiche. Interventi emersi da un confronto diretto con una certa tipologia di contesto. Il progetto di Graham diventerà una sorta di richiamo incastonato, un gioiello in un luogo solitamente in disparte. Attorno al padiglione abbiamo modificato l’intera vegetazione, piantumando centinaia di felci, affinché quella parte scoscesa di collina diventasse correttamente ospitale e fosse in grado, anche tecnicamente, di reinterpretare le caratteristiche del punto più scenografico della prima parte dell’Oasi Zegna.
B. C.: Dan Graham è uno degli autori che hanno rivestito un ruolo cruciale nel tracciare la storia dell’Arte Concettuale, sia come artista sia come critico, magistrale nel riflettere sulla propria produzione e su quella altrui. Al tempo stesso, è difficile pensare a un artista che abbia scelto con altrettanta forza una collocazione all’incrocio tra molte discipline diverse – scultura, architettura, musica, sociologia – ma al di fuori degli steccati. Forse per la sua formazione da autodidatta, Graham si è spesso posizionato come “outsider”. Con un gioco di parole, potremmo dire che a Trivero giocherà anche a stare outside, fuori, all’aperto.
Potreste esprimere un pensiero, un augurio che accompagni l’installazione di Graham, fino al momento della sua definitiva inaugurazione al pubblico?
A. Z.:Mi auguro solo che il padiglione, così apparentemente fragile e perfetto, arrivi al giorno dell’inaugurazione tale e quale a come è stato pensato e progettato, senza che alcun atto di vandalismo lo modifichi o lo distorca.
Ginevra Bria
www.fondazionezegna.org/allaperto
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