Berlin Updates: identità e narrazione al centro della terza edizione del Berlin Documentary Forum. Lungo fine settimana tra doc e video arte
Impresa ardua quella del narrare. Difficile districarsi tra codici e metodi, tecniche più o meno efficaci e scelte che possano sortire effetti quasi subliminali, influenzando l’opinione pubblica in modo acritico e pericolosamente superficiale. Un problema che si esplica in modo specifico, con dinamiche complesse e articolate, quando si introduce il concetto di identità nazionale, di […]
Impresa ardua quella del narrare. Difficile districarsi tra codici e metodi, tecniche più o meno efficaci e scelte che possano sortire effetti quasi subliminali, influenzando l’opinione pubblica in modo acritico e pericolosamente superficiale. Un problema che si esplica in modo specifico, con dinamiche complesse e articolate, quando si introduce il concetto di identità nazionale, di gruppo, a maggior ragione in una città a lungo preda di blocchi contrapposti che hanno tranciato i fili della conoscenza e coscienza comuni. Si trova particolarmente a proprio agio la capitale tedesca ad ospitare nella splendida Haus der Kulkturen den Welt la terza edizione del Berlin Documentary Forum, evento in scena dal 29 maggio fino al termine della settimana.
Si basa sulla resilienza del sentirsi berlinese il progetto che ha visto mettere mano a sessant’anni di documentaristica locale, offrendo uno spettacolo più unico che raro su come la memoria della collettività venga tramandata attraverso filtri culturali ed esperienziali che insistono per innestarla con i semi della loro cultura.
Ma a mutare ovviamente non è solo la sostanza, ma anche la forma. Da qui l’apertura del festival all’arte, linguaggio estetico per antonomasia che sa trasformarsi in cono ottico di grande potenza. Lo dimostra la performance scenica che vede Michael Baers proiettare la sua graphic-novel An Oral History of Piucasso in Palestine, chiaramente giocata sul parallelo tra la militanza del pittore di Guernica e le rivendicazioni delle popolazioni arabe nei confronti di Israele; lo conferma il contributo critico che Jimmie Durham offre per il catalogo della rassegna, trovando un inedito comune sentire tra le sue origini di nativo americano e il radicamento a tradizioni ancestrali che si respira in certe aree della Sardegna. Smadar Dreyfus ragiona con il suo video sul peso dell’educazione – scolastica e non – nella formazione del sentimento di appartenenza dell’individuo, mentre le installazioni di Harun Farocki tornano al tema del linguaggio e passano in rassegna il modo di trattare l’elemento naturale nei videogiochi a partire dagli Anni Ottanta e fino ai giorni nostri. Con alberi, fiamme e nubi che assumono caratteri diversi a seconda dello strumento usato per crearle, fino a indurci a dire che “prima, per il cinema, c’erano due tipi di vento: quello naturale e quello indotto dalle macchione del vento. Oggi ce n’è uno solo: quello digitale”. E la vibrazione standardizzata delle foglie suggerisce nuove soluzioni interpretative sul concetto di ricchezza dell’informazione.
– Francesco Sala
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