Pulita e precisa, luminosa ed elegante, la personale di Salvatore Arancio (Catania, 1974; vive a Londra) presenta un palinsesto di opere che interrogano i luoghi della vita per schiudere un discorso estetico in cui originario e originale – per dirla con Ebdòmero (de Chirico) – si incontrano con lo scopo di affrontare i brani impervi del tempo, la natura delle cose, la ruvidità della storia o, meglio, delle storie.
Con Shasta – titolo della mostra e di un’installazione video a doppio schermo che trae le mosse dalla leggendaria creazione del californiano Monte Shasta da parte di una tribù autoctona -, l’artista dà vita, ora, a una trama fitta di rimandi al mondo della vita mentre la vita tace, tuttavia, in un vuoto sovrastorico (Nietzsche), neutro, mitico e rituale, altamente inospitale, pungentemente mistico, sensualmente alchemico.
Saltando il fosso dei grandi racconti, Arancio mette in onda un vocabolario immaginifico legato a una inclinazione antroposferica e d una georiflessione che gravita, da una parte, nei selciati mitici dello slargo geografico, dall’altra nell’interazione tra linguaggi differenti e tra differenti rapporti sui saperi (Lyotard), tra archeologie di tempi che trasformano lo sguardo in visione, le forme in sapiente sistema e coesistenza cosale dove l’uomo è solo traccia leggera e spettro lontano della rappresentazione.
“In questa bizzarra geografia, della quale noi siamo spettatori alieni”, suggerisce Riccardo Conti nel testo (Monoliti e dimensioni) di presentazione alla mostra, “colpisce appunto l’assenza di spazi umani o un’idea di luogo al quale il nostro inconscio fa riferimento per approcciare e persino ‘abitare’ anche soltanto virtualmente uno spazio, nell’immaginario così come nella rappresentazione”.
Steam And Expanding Magmatic Gases Disrupting A Large Valley And Its Basalt Pavement, la favolosa Luffâh (una radice di mandragola dal corpo antropomorfo che si fa misura ambigua dell’essere). E poi tutta una serie di fotoincisioni, tra cui Hunebed, Lean Vein, A Glimpse Of A Carboniferous Formation Risen On A High Plateau. O, ancora, la spiazzante Mass Of Cooled Lava Formed Over A Spiracle, opera che impedisce apparentemente il varco dalla prima sala della galleria agli altri due ambienti in cui, come apparizioni silenziose, si presentano Shasta (Room 2) e una gigantografia fotografica di Luffâh che, assieme allo splendido effetto di Study for the Creation of a Moonchild creano, nello spettatore, un déjà-vu programmato che richiama in causa la linea della prima sala ed evidenzia, contemporaneamente, la totalità di un progetto di cui le opere, il loro disporsi nello spazio, si fanno tasselli di una polifonia ritmata sull’alterazione, l’alterità, l’ambiguità calibrata, questa, sul sentiero romantico dei primordi.
Su un mondo esclusivo – “ma quale, tra tutti i mondi, è il più esclusivo?” (Deleuze) – che, per Arancio, è forse quello della sospensione del vivente dalla storia delle cose e della natura. Di una natura, mitica e rituale appunto, che sposta lo sguardo verso un tempo in cui tutte le cose perdono la voce.
Antonello Tolve
dal 17 febbraio al 31 marzo 2011
Salvatore Arancio – Shasta
Federica Schiavo Gallery
Piazza Montevecchio, 16 (zona Parione) – 00186 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 12-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0645432028; fax +39 0645433739;
[email protected]; www.federicaschiavo.com
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