Fisco: anche le associazioni possono essere enti commerciali
La normativa tributaria precisa che non tutte le attività svolte da un’associazione sono non commerciali. L’art. 148 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi indica quali sono le attività che un ente associativo può svolgere senza incorrere nel rischio di veder tassati i relativi proventi come attività d’impresa. La norma ha una ricca serie di eccezioni che devono essere ben conosciute da chi partecipa e costituisce un’associazione.
Il principio fondamentale su cui si basa la disciplina è la non commercialità dell’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti in conformità alle finalità istituzionali dalle associazioni e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Nemmeno le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi concorrono a formare il reddito complessivo.
Tale principio è molto chiaro, ma da esso il legislatore ha previsto poi una serie abbastanza complicata di eccezioni, esenzioni e casi particolari.
Infatti, si considerano attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti “verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità” (comma 2 dell’art. 148 TUIR). Ciò significa che se un bene e/o un servizio viene ceduto dall’associazione anche ad un proprio associato ma ad un prezzo ulteriore alla originaria quota associativa (anche se esso è indicato come contributo o quota supplementare), l’attività è considerata come svolta in regime d’impresa e quindi tassata come attività commerciale.
L’individuazione come commerciale delle attività con un corrispettivo “specifico” subisce subito alcune rilevanti esenzioni (commi 3, 4 e 5 dell’art. 148 TUIR).
Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, non sono considerate commerciali (anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi “specifici”): 1) le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali a favore di iscritti, associati o partecipanti di altre associazioni con la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché a favore di associati o partecipanti e tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali; 2) le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.
Non tutte le attività sono però incluse in tale eccezione: rimangono commerciali le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita; le somministrazioni di pasti; le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore; le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito; le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali; nonché le prestazioni effettuate nell’esercizio di gestione di spacci aziendali e di mense, organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale, pubblicità commerciale, telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
Non sarebbe il legislatore italiano se non prevedesse un’ulteriore eccezione nell’eccezione: per le associazioni di promozione sociale (in particolare solo per i circoli cooperativi e gli enti di carattere nazionale) le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno non si considerano commerciali, anche se effettuate a fronte di pagamento di corrispettivi “specifici”, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale da bar ed esercizi similari e l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici. Ciò solo se tali attività siano però strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate sempre a favori di associati o partecipanti e tesserati di enti con la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché a favore di associati o partecipanti e tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.
Se già vi state sfregando le mani, sappiate che le eccezioni finora indicate non sono applicabili a tutte le associazioni, esse si applicano infatti soltanto a quelle associazioni i cui atti costitutivi o statuti prevedano alcune specifiche clausole: 1) il divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge; 2) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, salvo diversa destinazione imposta dalla legge; 3) una disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione; 4) l’obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie; 5) l’eleggibilità libera degli organi amministrativi, il principio del voto singolo, la sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, i criteri e le forme idonee di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; infine 6) l’intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e la non rivalutabilità della stessa.
Claudia Balocchini
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