Inclusivi comparativi contemporanei. Sulla rassegna Mont’oro
Pubblichiamo il contributo redatto da Pericle Guaglianone per il catalogo della rassegna Mont’oro, curata da Guglielmo Gigliotti e tenutasi in questi mesi a Roma presso la Galleria Montoro12. Il tema? Le mostre intergenerazionali e i vis-à-vis espositivi un po’ acrobatici..
Ho un debole per le mostre concepite come vis-à-vis, specialmente quando il confronto è un minimo acrobatico. Ricordo di una mostra veneziana di qualche tempo fa che osò affiancare Joseph Beuys e Matthew Barney: un paragone inammissibile secondo una visione parruccona dell’arte contemporanea, e che invece si rivelò centratissimo, oltre che geniale. Dico questo perché fino a pochi anni fa era pressoché impossibile vedere in una stessa esposizione, contemporaneamente, lavori di un artista celebrato e di un mid career – così come era raro che i lavori di un giovane emergente venissero affiancati a quelli di un artista addentrato; o che si vedesse, come nel caso summenzionato, un big storicizzato insieme a un campione del presente. Soprattutto in Italia gli spartiacque sembravano insormontabili – sia quelli generazionali che quelli esistenti tra nomi misconosciuti e artisti un filo considerati. Mescolarsi, giammai! C’era molta più gerarchia. Sarà stato che non c’era la crisi…
Ora tutto pare cambiato: dove ti giri c’è un big che espone con un ragazzino, o un emergente che interviene in un talk parlando inter pares con un artista blasonato. Niente più steccati insomma, e non solo dal punto di vista del casting delle mostre collettive. Le occasioni espositive o anche di dibattito intorno all’arte visiva risultano più inclusive e meno gerarchizzate. All’ingresso della cittadella dell’arte contemporanea, scopertasi più aperta e comparativista, sembra di leggere il seguente statement: si è tutti sulla stessa (fragile) barca e non è il caso di alzare barriere che la storia potrebbe dimostrare essere di cartapesta. Sarà che c’è la crisi… Ma non solo. Sarà anche che esempi di mostre coraggiose quanto ad accostamenti hanno fatto breccia tra i critici e i curatori meno stitici e tremebondi.
Strutturata in chiave intergenerazionale e prescindendo da discrimini legati ai curricula degli artisti, Mont’oro – la rassegna curata da Guglielmo Gigliotti e tenutasi a Roma in questi mesi presso la Galleria Montoro12 – mi è parsa concettualizzare tutto questo; riferire cioè di un cambio di paradigma avvenuto nel segno della democratizzazione anti-gerarchica del progetto espositivo. Non solo gli interventi degli artisti più affermati non sono risultati appannati quanto a forza e nitore. Ma in virtù di tale impostazione si è potuto anche suggerire qualcosa di interessantissimo in termini di etica culturale. Il fatto cioè che il nostro presente costituisce un’occasione formidabile per tornare ad avvicinarsi all’arte a partire dall’opera, e soltanto da essa. Come a ricordare – per aderire alla metafora proposta dal titolo – che se l’arte è l’oro della vita, e anche un monte, è però il suo ergersi potenzialmente ovunque, in qualunque punto dell’orizzonte, a qualificarla come ambito più elevato e insieme umano del nostro stare al mondo.
Pericle Guaglianone
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