Italian Area. Luca Rossi dà i voti agli artisti (A-C)
“Italian Area è l'archivio storico del centro Viafarini/Care Of a Milano. Una volta più selettivo, oggi, in linea con gli ultimi Padiglioni Italia alla Biennale di Venezia, ha deciso di mettere dentro tutti. Forse anche per evitare le solite critiche del rompiballe di turno, come il sottoscritto”. A scrivere è Luca Rossi. E questi sono gli artisti selezionati, quelli le cui iniziali del cognome vanno dalla A alla C. Seguiranno aggiornamenti alfabetici…
I giudizi che leggerete sono relativi alla opere degli artisti e non agli artisti come persone. La tendenza a una negatività di giudizi trova le responsabilità solo in parte negli artisti. Al 60% la responsabilità è da imputare a un sistema che in questi ultimi vent’anni non ha saputo formare, stimolare e promuovere adeguatamente.
A12
Architettura e arte. Tutto poco a fuoco. In fondo tutto potrebbe essere interessante, un vaporetto biblioteca alla Biennale di Venezia o la casa-bosco nel centro di Milano per salvare il mondo. Si tratta di strategie postmoderne che diventano funzionali ai problemi che si vorrebbero risolvere. Come se la Cina organizzasse la più grande fiera per la difesa del pianeta. Sicuramente sono emersi in tempi non sospetti; se fossero stati americani, sarebbero stati portati in trionfo più volte.
Voto 4,5
Alis/Filliol
Il ritorno al lavoro manuale, al materico, al corpo come peso concreto e grave. Spesso però il risultato finale rielabora ancora gli Anni Sessanta-Settanta e in particolare l’Informale. Seguono o sono loro malgrado una moda, forse intuita un attimo prima che fosse così manifesta.
Voto 5
Meris Angioletti
Mainstream internazionale a manetta. Molti sonori. Teorie psicologiche, possibilmente d’inizio secolo. Non ci siamo.
Voto 3
Francesco Arena
La problematica politica o sociale che diventa feticcio. Celletta di Aldo Moro, terra che occupa le foibe a formare obelischi, il percorso fatto dall’anarchico che diventa la riga sul pavimento ecc. Il gioco va bene una volta ma poi stanca, anche se si contorce in soluzioni formali impreviste.
Voto 4
Stefano Arienti
Sicuramente ha portato una ventata fresca in un certo fare poverista. Con semplicità si può fare, se non proprio tanto, qualcosa. Arte Povera Anni Novanta.
Voto 6
Micol Assaël
Sembra la figlia di Pier Paolo Calzolari. Arte Povera 2000. Sottili inquietudini in piccoli padiglioni che sembrano un “luna park per adulti”. Molto aiutata da buone PR.
Voto 4,5
Yuri Ancarani
Documentarista sofisticato. Che può anche non essere poco. Anche con una certa pulizia specifica, che ha un certo suo sapore. Manca una presa di posizione. Da quando San Maurizio Cattelan ha capito che ne poteva avere bisogno, tutti i favori per lui. Ma San Maurizio sa che una certa pulizia surrealista, a forza di guardarla diventa sempre “interessante”. Lui dice che la cosa non ha cambiato molto, ma non è assolutamente vero: basta guardare il felice caso da arte a cinema di Steve McQueen.
Voto 5
Mario Airò
Stefano Arienti del micro spostamento, del micro ready made… della micro poesia. Però finisce per essere inconsistente e anche poco a fuoco.
Voto 4,5
Giorgio Andreotta Calò
Anche lui remixa codici del passato, giocando con un immaginario, mentre avremo bisogno di modi. Perché non Harry Potter? Spesso troppo debitore di Long o Matta-Clark. Biennale 2011 pesantemente insufficiente, con la sua voce retorica che spiegava il lavoro, che era una passeggiata dall’Olanda a Venezia. Se è una passeggiata non va raccontata, se no è un racconto in filo diffusione. Molto aiutato dalle pubbliche relazioni. Ultimamente sempre più retorico e legato a codici passatisti o immaginari cupi e un po’ tristi.
Voto 4,5
Salvatore Arancio
Ikea evoluta non consapevole, spesso pretenziosa. In salsa giovane Indiana Jones.
Voto 3,5
Francesco Barocco
Ennesima elaborazione degli Anni Sessanta-Settanta-vintage. A volte con buoni risultati artigianali. Sembra veramente di vedere l’Arte Povera: possibile che questi giovani riescano solo a esprimersi come i loro nonni? Problema generazionale? Inconsapevolezza o facile moda?
Voto 4,5
Emanuele Becheri
Anche lui giovane Indiana Jones, il riferimento all’Informale Anni Sessanta-Settanta è imbarazzante: non se ne può più!
Voto 4
Elisabetta Benassi
Nelle promesse Anni Novanta, anche lei vittima di un certo sistema. Non ha mai avuto una linea coerente, cose a caso. Oggi potrebbe dire: datemi un archivio storico e vi solleverò il mondo.
Voto 3
Valerio Berruti
Tutto sommato onesto, quantomeno più coraggioso nell’essere conservatore e passatista. Nel senso che protegge un tratto semplice che si vuol far voler bene. Se i prezzi lievitano, rischio Ikea evoluta molto alto.
Voto 4,5
Luca Bertolo
La pittura è la seconda via. La cornice costringe necessariamente a consapevolezza.
Voto 6.
Botto e Bruno
Le loro periferie si sono ormai consumate. Non se ne può più. Rimasti prigionieri di un logo.
Voto 3,5
Massimo Bartolini
Cose a caso sostenute da 1-2 buone pubbliche relazioni: estremamente sopravvalutato. Forse dovremmo leggerlo “Massimo De Carlo”. Re dello smart relativism, idee che vogliono essere intelligenti ma risultano scollegate e profondamente in linea con una certa prevedibilità, rispetto a quello che è considerato essere l’arte contemporanea. Ma buone pubbliche relazioni rendono, apparentemente, tutto accettabile. Molto meglio anni fa con quella piccola riflessione sullo spazio, poi perduto. Forse senza idee.
Voto 3,5
Vanessa Beecroft
Come Botto e Bruno, prigioniera di una sola idea, poi attualizzata scivolando in un certo classicismo. Ma l’idea era più buona di quella di Botto e Bruno.
Voto 5,5
Riccardo Benassi
Cerca di uscire da certi modelli modaioli, ma non ci riesce del tutto. Anche lui artigiano dell’arte contemporanea.
Voto 4,5
Simone Berti
Anche lui tra le promesse Anni Novanta, vittima di un certo sistema matrigno. Anche lui rifugiato, intelligentemente, nella pittura e in una scultura un po’ surreale. Non basta.
Voto 5
Bianco-Valente
Eccessivamente un cliché.
Voto 3,5
Rosa Barba
Ennesima masturbazione intorno al proiettore vintage. Buone pubbliche relazioni. Certi aspetti tra proiezione e testo interessanti, ma non basta.
Voto 4,5
Riccardo Beretta
Ennesima variazione sul tema, qui è il mobiletto e l’arazzo del mercatino dell’usato che vengono elaborati. Ottime pubbliche relazioni che possono trasformare il legno in oro (soprattutto se intarsiato per un’ottima Ikea evoluta).
Voto 3,5
Davide Bertocchi
Fissato con questa storia dei brani più amati dagli addetti ai lavori del mondo dell’arte. Poi combinazioni curiose, tra oggetti, e sempre al centro il vinile. Anche lui mimetizzato in un certo modo di fare, potrebbero essere accostamenti amatoriali, potrebbe essere tutto o niente.
Voto 4,5
Rossella Biscotti
Ultimamente ha inanellato una sorta di grande slam: Biennale di Carrara, Premio Maxxi, Manifesta, Documenta, Biennale di Venezia, Biennale di Istanbul. Anche lei, dopo buone intuizioni sul recupero-elaborazione della storia, sta esagerando. E se la sua opera “le teste in oggetto” era centrata, poi progressivamente è scivolata su una retorica fine a se stessa e su soluzioni formali tra Arte Povera e Minimalismo di maniera. Forse la necessità di fare tante mostre l’ha costretta a fossilizzarsi, e quindi a logorarsi, prigioniera anche lei del passato. Significativo sintomo generazionale italiano, peccato che da parte di questi artisti non ci sia consapevolezza, ma solo il desiderio di lavorare più lontani possibile dall’Italia, mentre da alcune cose non si scappa. Anche lei giovane Indiana Jones.
Voto 4,5
Monica Bonvicini
Insieme a Cattelan, Beecroft e Vezzoli, dimostra che in Italia bisognava emigrare per fortificare e far fiorire il proprio lavoro tra Anni Novanta e Zero. Decisamente indebolita negli ultimi anni perché anche lei prigioniera di un certo atteggiamento/immaginario. Biennale 2011 molto insufficiente.
Voto 4,5
Sergio Breviario
Una certa follia che sa disegnare bene. Anche se siamo sempre sullo sforzo intellettuale tra il nonsense e l’ironia. Quanto meno a fuoco e delicato.
Voto 5
Danilo Correale
Poco a fuoco, opere molto diverse, ultimamente un progetto partecipativo per i dipendenti di alcune aziende in Toscana. Anche nel suo caso tutto può andare bene se presentato nei posti giusti: ma c’è una certa intelligenza. Paga lo scotto di un ruolo di artista debole a prescindere.
Voto 5
Gianni Caravaggio
Un fare poverista troppo dipendente dall’Arte Povera. Per molti aspetti didattico, con alcune idee migliori. Ma sviluppa una forma di preparato artigianato rispetto a un fare Anni Sessanta-Settanta.
Voto 5
Manuele Cerruti
Una buona pittura in linea con alcune esperienze internazionali. Dovrebbe osare di più, esagerare.
Voto 6
Loris Cecchini
Molto meglio agli esordi negli Anni Novanta, oggi perduto in progetti dalla superficie riflettente e attraente, ma molto vuoti. Forte di una galleria forte come la Continua. A un certo punto è stato evidente che doveva proporre prodotti appetibili, le sue opere sembrano prodotti Apple con un packaging mezzo aperto.
Voto 3,5
Valerio Carruba
Arroccato su una sola idea di pittura da anni, coerente, anche se spesso ripetitivo. Ma non è certo facile.
Voto 6
Paolo Chiasera
Pupillo delle prima ora di Massimo Minini, che sembra quindi fissato su di lui e non riesce a mettere in dubbio questa scelta. Mentre invece tutti possono sbagliare. Il suo caso è molto significativo della scena italiana degli ultimi quindici anni. Vive ovviamente a Berlino. Dal 2000 va di palo in frasca, prima realtà parallele, poi prende grandi personalità del Novencento e ci formalizza oggetti e pitture. Lo si vede solo nelle gallerie della famiglia Minini (ma capita a molti giovani italiani che vengono musealizzati dal gallerista). Ultimamente lavora con una pittura frontale e un poco naïf, che vuole avere un preteso spessore intellettuale, perché sembra pittura che parla della pittura e dell’artista; atmosfere un po’ come va di moda oggi (vedi Frigo, Roccasalva). Insomma, confuso. Legge e si dedica a ciò che gli piace (se lo può permettere, probabilmente Nonni Genitori Foundation, ma nulla di male essendo l’unico ammortizzatore sociale dell’arte italiana). Se da giovane avesse incontrato un clima critico più vitale, sarebbe sicuramente maturato meglio, ed ecco che la figura di Minini diventa il sintomo di un sistema matrigno.
Voto 4
Roberto Cuoghi
Anche lui garuttino, conosciuto per la performance in cui cercava di diventare come suo padre. A distanza di anni, anche quel lavoro sembra più debole. Nel 2000 ha continuato a sviluppare un certo immaginario cupo, distaccato e un filo inquietante. Interessante quando riporta questo nelle tecniche. Ma poi ultimamente anche lui perso nelle citazioni dei sumeri, e in digressioni un po’ forzate come la scultura fuori controllo all’ultima Biennale. Anche lui drogato di pubbliche relazioni.
Voto 4,5
Ludovica Carbotta
Una serie di lavori che giocano con progettualità più o meno utopistiche rispetto all’idea di città, ambiente umano, democrazia. Tali speculazioni sono meglio quando mettono al centro il corpo dell’artista, in sculture che sono come la vecchia pelle di un serpente. Il problema è che sbanda troppo, mentre dovrebbe approfondire in modo estremo un solo punto.
Voto 5+
Pierpaolo Campanini
Lo sviluppo tecnicamente preparatissimo di una sola idea pittorica, come se in fondo ci interessasse effettivamente sempre e solo l’infinita declinazione di una cosa. Forse a volte gigioneggia troppo, troppo leccato, troppo perfetto.
Voto 5
David Casini
Veramente troppo attento nella rielaborazione del pezzo antico da mercatino dell’antiquariato. Cristalli, immaginari d’altri tempi, immaginari svizzeri. Il rischio Ikea evoluta è altissimo: il rischio di sviluppare una linea di oggetti per l’arredamento, o testimoni di un’ossessione del tutto personale, o che le persone possono prendere come si prende un vestito che ci piace, piuttosto che un altro. E quindi si finisce, sempre, per alimentare un certo inquinamento visivo e oggettuale, in cui ci si perde.
Voto 4
Maurizio Cattelan
Una percorso di vent’anni divisibile in due decadi, meglio la prima. Ma comunque coerente con un linguaggio che gioca a fare il giullare-asino di corte. Uno dei nipotini di Duchamp e Warhol. Una giusta dose di provocazione e pubbliche relazioni permettono di comunicare in un mondo che tende a essere assopito. Cosa farà Cattelan? E l’opera esiste già prima che venga vista, ed esiste come icona ovunque. Ultimamente un po’ troppo inconsistente, forse stanco. I vassoi di Toilet Paper non li doveva fare.
Voto 7
T-Yong Chung
Una scultura del gioco, dello spiazzamento, del nonsense, del remix formale. Veramente troppo poco per non mimetizzarsi e perdersi nella sovrapproduzione odierna.
Voto 4,5
Luca Rossi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati