Basta coi finanziamenti
Ho sempre più dubbi che i finanziamenti pubblici facciano bene alla cultura. Quanto meno alla sua produzione ordinaria. Guardando indietro nel tempo e vedendo ciò che è successo, non mi sembra che gli aiuti pubblici abbiano favorito i migliori, innescato processi virtuosi di produzione, sostenuto la qualità; abbiano insomma fatto del bene alla collettività.
Si prenda il FUS, che da trent’anni dispensa generose risorse al mondo dello spettacolo. Quasi tutti i soggetti pubblici e privati, a qualsiasi anello della filiera appartengano, annualmente percepiscono denaro pubblico per produrre ed erogare spettacolo. Il FUS ha generato mostri: gli ex-enti lirici; tanto clientelismo, nella produzione cinematografica; tanti vizi, nell’esercizio ad esempio. La fisionomia di tali aiuti pubblici è distorta in tutto: così consistenti, circa 400 milioni di euro annui; discrezionali, con funzionari e commissioni governative che ne stabiliscono i beneficiari; estemporanei, perché il valore è stabilito annualmente dal Governo in legge finanziaria, quindi senza la possibilità di fare vera programmazione a medio o a lungo.
Lo Stato dovrebbe facilitare la scoperta e formazione degli artisti, sostenerne l’ingresso nel mercato dell’arte, incentivare la domanda di cultura. Invece oggi l’80% delle risorse va a una faticosa conservazione del passato, che non coincide con la valorizzazione e la condivisione del presente e tantomeno del futuro. I soldi si consumano in stipendi per persone che “custodiscono” la nostra memoria. Quel che rimane va alla produzione, ma in una logica clientelare e discrezionale.
Il FUS non è certo l’unico colpevole: ogni genere di aiuto pubblico funziona così. Bisogna allora interrompere la mala abitudine, ritornare al perché la collettività aiuta la cultura e cosa deve averne in cambio, stabilire regole lineari per come dare, quanto dare e a chi dare. Nel frattempo potrebbe far bene stare un po’ a bocca asciutta. Si può star certi che gli artisti già affermati potranno sopravvivere sul loro pubblico, gli sconosciuti continueranno a essere ignorati ma avranno chance per il futuro. Tutto il resto dei beneficiari, la gran parte, finalmente si cercherà un lavoro (un altro).
Fabio Severino
project manager dell’osservatorio sulla cultura
università la sapienza e swg
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19
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