“Non andate a bivaccare a Berlino”. Intervista con Teho Teardo
Offagna, incantevole borgo dell’entroterra marchigiano, ospita da decenni rievocazioni medievali, ma recentemente a queste si è affiancato un nuovo festival dal significativo nome di “New Evo”, che in sole due edizioni è riuscito ad affermarsi nel territorio, ospitando fra l’altro una data del tour di Blixa Bargeld e Teho Teardo lo scorso 2 agosto. Ne abbiamo approfittato per rivolgere alcune domande al compositore italiano, in attesa della prossima data del tour del duo, ovvero il 19 agosto a Francoforte.
Dove sta andando la composizione, e dove sta andando il mercato?
Il mercato va di solito negli stessi posti, tutto sommato è abbastanza prevedibile: cerca il consenso, come la maggior parte della musica. Poi c’è un’altra parte della musica che non lo cerca e mette in discussione lo stato attuale delle cose: si chiama dissentire, e io sto da quella parte e mi interessa quello sguardo. È inevitabile che una certa parte cerchi un riconoscimento immediato e il gusto del pubblico. È come se tanta arte fosse nata predisposta per piacere: a me tutto ciò non interessa molto, come invece chi cerca di dare la propria visione di ciò che sta vivendo e attraversando.
Hai lavorato molto all’estero, quasi più che in Italia. Cosa pensi dell’attuale situazione nel nostro Paese, con tanti musei, festival, manifestazioni che stanno annaspando se non chiudendo?
Io mi sono laureato in storia dell’arte contemporanea, e sono felice di non lavorare più in quel mondo perché un Paese come l’Italia non sostiene la ricerca da tutti i punti di vista: scientifico, artistico, ma soprattutto non sostiene la contemporaneità. Io lavoro soprattutto all’estero, dove c’è un altro tipo di scambio e di attenzione. Gli ultimi episodi, fra cui questo bando che Franceschini ha lanciato, è un racconto molto chiaro di chi vuole mantenere lo status attuale e non vuole cambiare nulla, perché penalizza gli emergenti e lascia i soliti contributi giganteschi al mondo goffo della lirica. È una cosa pietosa, solo in Italia succede…
Non vedo una gran differenza, se non una continuità, dall’era Berlusconi ad oggi passando per la P2: un tragico disegno di scoraggiamento di ogni novità, e dico tragico non a caso.
Che pensiero e consiglio vorresti rivolgere ai giovani artisti italiani in questo scenario: dove, come e perché?
Dentro di sé è il posto migliore dove guardare, per capire meglio come si è e come rapportarsi col mondo. Dopo aver capito questo “come”, è molto più facile stabilire il rapporto con il luogo verso cui si vuole andare. Adesso c’è la migrazione, l’ultima migrazione di massa dei giovani italiani è a Berlino, quando ero giovane io era Londra, poi c’è stata Los Angeles, Barcellona… Moltitudini di questi tornano a casa molto più insoddisfatti di come erano partiti. Sono mode: se a me qualcuno dice Berlino io ad esempio risponderei Portland, dove c’è anche un bellissimo negozio di dischi che si chiama Mississippi Records. Bisogna sforzarsi di evitare di fare tutto quello che il gusto comune ci chiede, come andare per forza a Berlino.
So che può sembrare contraddittorio il fatto che io a Berlino abbia lavorato molto, ma ci sono andato con uno scopo ben preciso, con persone e una situazione molto precisa, non un bivacco annacquato dove si vive con poco. Esistono anche altri posti dove si vive con poco e dove si può tentare di realizzare qualcosa per sé, soprattutto prendendosi il tempo che questa era così veloce ci vorrebbe togliere. Il mondo è diventato apparentemente più veloce, come aveva ipotizzato peraltro Marinetti oltre cent’anni fa, ma la velocità la dobbiamo decidere noi.
Progetti per il futuro?
Molti: fra pochi giorni torno a Londra, sto lavorando a Ballyturk, una commedia teatrale di Enda Walsh, lo straordinario sceneggiatore di Hunger, che andrà in scena da metà settembre a metà ottobre e da cui uscirà anche un lavoro musicale.
Simona Caraceni
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