Puro, semplice e naturale. Un’acqua in bottiglia? No, una mostra agli Uffizi
Galleria degli Uffizi, Firenze - fino al 2 novembre 2014. La mostra “Puro, semplice e naturale nell’arte a Firenze tra Cinque e Seicento” si guadagna elogi innanzitutto per la sua concezione generale, ancor prima che per la scelta delle opere o la strutturazione del percorso espositivo. Con un’idea critica forte e un’interpretazione storiografica chiaramente delineata.
Non siamo di fronte alla solita mostra monografica, che illustra (quando ci riesce!) l’evoluzione dell’attività di un artista dai suoi esordi a fine carriera, e men che meno a una di “quelle [rassegne] basate su ideuzze pretestuali come ‘luce e ombra’, ‘fantastico’, ‘diabolico’ […], che si risolvono per lo più in ozii mondani e diplomatici, o in isvaghi municipali a scopo turistico” (Roberto Longhi, Mostre e musei, 1959).
Si ha invece a che fare con una mostra costruita intorno a un’idea critica forte e a un’interpretazione storiografica chiaramente delineata: scopo della rassegna è quello di ricostruire e illustrare una linea di sviluppo dell’arte prodotta a Firenze nei secoli XVI e XVII, improntata a ideali di purezza, semplicità e naturalezza, per dirla con il titolo. Una linea che muove da figure fondamentali come quelle di Andrea del Sarto e Fra’ Bartolomeo e che come un fiume carsico attraversa la città nei decenni successivi, per emergere con singolare vigore in determinati frangenti, in particolare negli ultimi decenni del Cinquecento e all’inizio del secolo successivo, con artisti quali Santi di Tito (che giganteggia in mostra con una mirabile scelta di capolavori) e Jacopo Chimenti detto l’Empoli, e nei decenni centrali del Seicento, quando praticarono un’arte agli antipodi del predominante Barocco pittori come lo strepitoso Lorenzo Lippi (bellissimi la silenziosa Crocifissione del Museo di San Marco e il Lot e le figlie degli Uffizi) e scultori come il meno noto Antonio Novelli.
È soprattutto questa seconda riemersione che meraviglia: se la prima era favorita da un clima generale che vedeva, da un lato, una diffusa disaffezione nei confronti della maniera e del vasarismo e, dall’altro, l’imposizione dei dettami post-tridentini tendenti alla semplificazione dell’arte sacra, il purismo di metà Seicento fiorì in un momento storico tutto diverso, con il Barocco all’apice del suo fulgore e fiero di aver conquistato anche la riottosa Firenze, dove i soggiorni di Pietro da Cortona negli anni Trenta e Quaranta e i suoi affreschi in Palazzo Pitti avevano prodotto un autentico terremoto.
Ci si trova a percorrere una mostra che non solo delizia gli occhi per la qualità solitamente molto alta delle opere che la compongono, ma che soprattutto fornisce informazioni e accresce le conoscenze (proponendo angolazioni meno consuete e puntando l’attenzione su figure e fatti non tra i più noti) e fa riflettere, durante e dopo la visita. Si esce dalla rassegna ripensando a quello che si è visto, e davvero non è poco, in tempi di mostre che ti scivolano addosso senza quasi lasciar traccia.
Qui le protagoniste assolute sono le opere, le si deve guardare con attenzione e confrontarle tra loro, perché c’è un discorso critico dietro con cui occorre misurarsi e che occorre giudicare; guardare quelle opere e non altre, perché non c’è nulla di intercambiabile, la scelta è stata meditata per fornire di solidi appoggi l’impostazione storiografica di fondo. Potrebbe sembrare una banalità, dire che le opere sono protagoniste, ma purtroppo non lo è: sono frequenti rassegne in cui non si riesce a indovinare il carattere di necessità di certe presenze, o dove la mostra la fanno essenzialmente i pannelli, con le opere ridotte a preziose illustrazioni dei testi – e a quel punto meglio sarebbe produrre un volume illustrato, anziché un’esposizione, e lasciare pitture e statue al loro posto.
È il caso ad esempio di una mostra fiorentina aperta contemporaneamente a questa, e dedicata a La fortuna dei Primitivi (Galleria dell’Accademia, fino all’8 dicembre): mostra di ricerca (come testimonia il ponderoso catalogo), che però non fa nulla per aprirsi a un pubblico di non esperti e che soprattutto non fa parlare le tante opere presenti (fra cui molti capolavori), condannate a far da muti comprimari ai dotti pannelli.
Nel percorso di Puro, semplice e naturale si alternano opere di fine Cinquecento e del Seicento e lavori risalenti al pieno Rinascimento, a mostrare quali fossero i modelli di riferimento per gli artisti della Firenze granducale “puri” e “semplici”; che tuttavia non solo guardavano indietro, ma si guardavano anche intorno, studiando assiduamente dal vero, come prova la bella selezione di disegni esposta. Diversi i momenti particolarmente ben riusciti, come quello in cui si accosta l’azione degli artisti del “Seicento contromano” (così si intitola una sezione della mostra) a quella portata avanti negli stessi anni dall’Accademia della Crusca in ambito letterario e linguistico; accostamento sottolineato dalla presenza delle “pale” di due cruscanti, il Mantenuto e il Rifiorito, sulle quali Lorenzo Lippi dipinse due magnifici bodegón. Bella e scenografica la conclusione della rassegna, con tre busti del Salvatore scalati nel tempo (da quello di inizio Cinquecento di Pietro Torrigiani al busto del 1586-87 di Giovanni Caccini, al Cristo di metà Seicento di Antonio Novelli), ma tra i quali non si direbbe intercorsa più di qualche settimana.
È vero che qua e là può scappare uno sbadiglio: un’arte così sobria e sorvegliata può (e talvolta vuole?) condurre alla noia. Il rischio è insomma quello del santino: scongiurato tuttavia dalla meticolosità dell’esecuzione, come nel caso di una perfetta Madonna con il Bambino di Carlo Dolci (da Montpellier), che si incontra verso la fine del percorso.
Trattandosi di una mostra a tesi, è forse inevitabile qualche semplificazione. Andrea del Sarto fu sì il nume tutelare dei pittori “naturali”, come lo si presenta in mostra, ma fu con le sue inquietudini anche il capostipite di una linea del tutto opposta, che ebbe i suoi “divergenti” campioni in Pontormo e Rosso (e questa filiazione era chiaramente ribadita nelle prime sale della bella rassegna di Palazzo Strozzi, che ha chiuso i battenti il 20 luglio). Oppure, si insiste sulla fiorentinità della linea “pura e semplice”, e non senza ragione; non sarebbe spiaciuto però un confronto con altri centri, dove ugualmente, ad esempio, si fecero sentire i precetti della Controriforma de imaginibus Sacris. E anche per il pieno Seicento, un raffronto con Sassoferrato e il suo recupero dell’arte quattrocentesca sarebbe stato intrigante. Al contrario, una saletta si sarebbe forse potuta dedicare all’esemplificazione di ciò che veniva dipinto e scolpito a Firenze in quei decenni e che non era affatto “puro, semplice e naturale”: una parentesi utile sia per chiarire al pubblico che quella protagonista della mostra non era l’unica tendenza pittorica in città, sia per far capire meglio contro cosa “combattevano” Lippi e compagni. Dall’esuberante cortonismo del Volterrano, alla pittura fantastica e sensuale di Furini e Cecco Bravo, a un paio di caravaggeschi per far vedere che c’era chi il “naturale” lo intendeva in maniera ben più radicale di quanto non facessero un Santi di Tito o un Filippo Tarchiani.
Ma è vero che questo ampliamento della prospettiva il visitatore se lo può procurare appena uscito dalla mostra, proseguendo nel percorso della Galleria fino alle nuove sale dedicate al Seicento fiorentino.
Fabrizio Federici
Firenze // fino al 2 novembre 2014
Puro, semplice e naturale nell’arte a Firenze tra Cinque e Seicento
a cura di Alessandra Giannotti e Claudio Pizzorusso
Catalogo Giunti
GALLERIA DEGLI UFFIZI
Piazzale degli Uffizi 1
055 2388651
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www.polomuseale.firenze.it/uffizi
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